domenica 18 dicembre 2011

Il ritorno agli 80's per un nuovo e disinvolto MODERN GRUNGE!


E’ inverno, fa freddo, la mattina ci si alza presto per andare a lavoro o all’università, e gran parte del tempo viene rubato dalla scelta dell’outfit quotidiano, per essere sempre impeccabili ovunque si vada. E se invece bastasse semplicemente prendere ciò che ci capita e abbinarlo a nostro piacimento senza pensare troppo al “pendant”? Dopotutto il bello dell’inverno sta proprio in questo, nel sovrapporre tanti e vari pezzi, così diventa davvero difficile sbagliare, ed è facile creare qualcosa di nuovo e inconfondibile. Gli stili che indossiamo possono anche discordare tra loro, ma l’importante è filtrarli attraverso degli elementi chiave. Questa stagione le parole chiave sono queste:  jeans sdruciti, camicie di flanella a quadrettoni, giacche e maglioni oversize che fanno da mini vestito, abiti second hand irrinunciabilmente vintage…un vero e proprio “metropolitan grunge”. Per gli appassionati di questo stile, fusione tra le polarità del trasandato e del ricercato, è necessario un piccolo salto temporale:  siamo a metà degli anni ‘80 e il mondo della musica, grazie alle star-icon Kurt Cobain e Courtney Love, regala inconsapevolmente alla moda lo stile grunge, che inizialmente si caratterizza in una totale negligenza per ciò che riguarda il modo di vestirsi, dai maglioni enormi e bucati agli abitini di seta con stampe floreali trovati a buon prezzo nei mercatini. Se fino agli anni ‘90 era considerato grunge solo ed esclusivamente lo stile dei giovani ribelli, nel ‘92 il giovanissimo Marc Jacobs introduce questo stile nel  pret-à-porter, creando la collezione rivoluzionaria per Perry Ellis, raccogliendone e interpretandone i cavalli di battaglia ma non solo.  Jacobs inserisce infatti tantissimi elementi che poi diventeranno caratteristici di questo street-syle: la camicia indossata e annodata sopra un abito, gli stivali da cowboy o da motociclista con gonne lunghe e ampie, grandi stampe “insolite”, abbinamenti di colori poco accostabili e audaci tanto da sembrare che i capi siano messi insieme a caso, foulard annodati in testa. Nonostante le varie critiche, tra cui quella autorevole dell’allora direttrice di Vogue America Anna Wintour, il grunge, nella sua svogliatezza e poco interesse nel delineare una moda, pervase progressivamente il mondo satinato (e per molti versi opposto) del fashion, e più che mai lo fa tutt’oggi. Alexander McQueer , Stella McCartney, Paul & Joe e molti altri portano in passerella un modern grunge fatto di t-shirt allungate, stampe divertenti, ampie gonne e manicotti in lana o eco-pelliccia; se poi andiamo a vedere la nuova collezione di Joseph Altuzarra vediamo come il grunge nella sua originaria disinvoltura si spossa sposare perfettamente ad abiti leggeri, femminili ed estremamente comodi, attraverso l’abile armonizzazione di parka, cardigan in lana grossa e stringate alte ad eleganti tacchi e impeccabili maquillage e abbinamenti cromatici: la creazione di un “neo-clochard”, rinnovato nella sua essenza urbana con meno derivazioni “rurali”. Quest’ inverno sarà tutto fuorchè minimal, perciò guardatevi intorno più spesso per le strade, vi sembrerà di respirare l’aria degli 80’s, di una nuova “swinging London” sparsa a macchia d’olio.


giovedì 8 dicembre 2011

Il fascino senza tempo della pelliccia: scelta etica o estetica?



Questo autunno-inverno uno dei protagonisti del guardaroba è un grande classico: la pelliccia. Proposta in tutte le versioni immaginabili, vera o finta, dai toni naturali o fluo, si ritrova dappertutto, dal classico copri spalla fino ai particolari su gonne, maglioni e addirittura sulle calzature. Un fascino davvero intramontabile, senza tempo, che continua a far colpo sull’immaginario femminile, e che viene riletto nelle varie collezioni con gusto contemporaneo ma anche con un tocco un po’ vintage e retrò. Ormai il freddo è alle porte, e appena molte di noi iniziano a chiedersi se comprarsi o meno una pelliccia, ecco che si riaffaccia la polemica se questa rappresenti o meno una scelta etica. Tanto la pelliccia quanto il dibattito su di essa sembra non passare mai di moda, e anzi, col tempo si è fatto sempre più intenso. Qual è la scelta veramente ecologica? Quella della pelliccia naturale o quella della pelliccia sintetica? Le posizioni a riguardo sono diametralmente opposte: i tradizionalisti ritengono che solo la pelliccia naturale possa essere ecologica, mentre gli animalisti sostengono che l’unica scelta di buon senso sia quella di una pelliccia che non derivi da animali. La pelliccia naturale è considerata dall’alba dei tempi come un indumento simbolo di forza, carico di significati magici, un po’ come se attraverso essa venisse trasmessa l’energia dell’animale da cui proviene; in seguito diviene simbolo di lusso e agiatezza, elemento fondamentale nel vestiario di imperatori e aristocratici. Il pelo utilizzato per la produzione di pellicce deriva da animali come la volpe, il lupo o l’orso, o da animali esotici (ora protetti) come le scimmie o le tigri, e con il processo di democratizzazione del lusso, è diventato un prodotto accessibile a tutti, dato l’abbassamento dei costi di produzione (infatti la più grande produzione di pellicce appartiene alla Cina). Nonostante le proteste che da anni continuano ininterrottamente, negli ultimi tempi si è vista nascere una serie di organizzazioni che incentivano l’uso di pellicce naturali, sostenendo la tesi che la produzione di queste pellicce sia la migliore dal punto di vista ecologico, poiché a contrario di quelle sintetiche, non vengono utilizzate sostanze chimiche e non dipende dal petrolio. Il dibattito oggi è questo: la pelliccia sintetica ha diritto di essere chiamata ecologica? Le ricerche scientifiche del laboratorio Ford Motors hanno comparato l’energia consumata per la produzione di pelliccia naturale e di quella sintetica: la produzione di un cappotto di pelliccia sintetica richiede circa 120,300 BTU (British Termal Units), e tenendo in conto anche i costi del trasporto e del cibo per gli animali delle fattorie,  la produzione di un cappotto di pelliccia naturale richiede 66 volte più energia rispetto a quella necessaria per produrre un cappotto di pelliccia sintetica. I dubbi a questo punto non dovrebbero più esistere, sia vista la conferma scientifica sul lato ecologico della pelliccia sintetica sia visto che scegliendo di acquistare questa e non una pelliccia naturale, scegliamo anche di non incentivare l’uccisione di altri animali per scopi meramente estetici. Togliamoci pure la mano dalla coscienza, perché molte delle pellicce proposte in passerella dai maggiori stilisti per l’inverno 2012 sono niente meno che sintetiche, anch’esse soffici, colorate, animalier, rasate, e a seconda delle loro caratteristiche assumono uno stile diverso e contrastante: una pelliccia dalle tinte brune o chiare è chic e un po’ altezzosa, una pelliccia corta blu elettrico è trasgressiva e punk rock, dallo slancio metropolitano. Se allora è vero che oggi tutti abbiamo il diritto di scegliere, è  vero anche che abbiamo la possibilità di fare una scelta responsabile. Perché fare una scelta ecologica significa fare una scelta etica, facendo si che un semplice indumento come la pelliccia attraversi la moda, ma assuma anche un significato più alto.

sabato 12 novembre 2011

Tatoo e società, tra espressione di sè e filosofia del corpo.

Spesso veniamo a conoscenza di notizie come epatiti e gravi infezioni riportate in seguito a tatuaggi o all’applicazione di piercing. E’ certamente lecito chiedersi cosa possa spingere molti giovani e non a ricorrere alle pratiche “eccentriche” della body modification, ma è troppo facile e riduttivo risolverla con una semplice visione modaiola, di finto e costruito anticonformismo. Gran parte della società vede il forarsi naso, ombelico o l’ornamento tatoo come un’emulazione di mode lanciate dalle celebrità,  un modo per distinguersi dagli altri o peggio ancora, come afferma John Leo “un comportamento che nasce da un misto di insoddisfazione e provocazione, dato dal desiderio di indispettire i genitori e scioccare la gente”. Per una volta lasciamo da parte perbenismo, canoni sociali stereotipati e giustificazioni salutistiche e statistiche. Il tatuaggio è un’usanza antica quanto l’uomo, che va ben aldilà dell’estetica, e data la sua natura permanente, l’attributo di moda cade con estrema facilità: tutto ciò va ben aldilà della moda, e può assumere un profondo significato psicologico e ideologico, un modo per riappropriarsi del proprio corpo, per recuperare un’unicità che progressivamente vediamo violata dalla moltitudine con cui veniamo a contatto ogni giorno.  Individualizzare il proprio corpo è ciò che può definire e caratterizzare chi non vuole far parte di una massa amorfa, un modo per dire “Io mi accetto per come sono, ma diversamente da te e anche da te, perché posso giocare col mio corpo. Io mi accetto per come sono, anche se non corrispondo al tuo modello ideale.” Attribuire un significato profondo a un’immagine o una scritta che raccontano qualcosa di noi o delle nostre esperienze rappresenta il bisogno d’espressione che l’uomo ha dentro di sé dai tempi più antichi, un bisogno che oggi viene interpretato da tutti coloro che consciamente o non scelgono di imprimere qualcosa non solo nella mente. Secondo il neotribalismo, corrente che esplica gli sviluppi contemporanei delle antiche tradizioni del piercing e del tatuaggio, questi sono delle vie fisiche (e non solo) per distaccarsi dalla moderna società industrializzata. Cos’è diventato l’individuo nell’odierno sistema occidentale e capitalistico? Un produttore e consumatore di merce, un sottomesso alla merce, alla sua vendita, al suo consumo: tutto ciò non fa che bistrattare e infangare il corpo, allontanandolo dalla natura, da ciò da cui proviene. Perché non riappropriarsi di tutto ciò con questi “rituali”? Un po’ come i nostri antenati, probabilmente manifestiamo l’idea del giungere alla mente tramite il corpo, del dolore come una forma di conoscenza diversa e integrale. Il nostro corpo ci appartiene, lo sentiamo, lo viviamo, e se la body modification può esser vista primitiva, contro natura e immorale, date un’occhiata agli stravolgimenti che gli uomini “civili” apportano ai prodotti di madre natura: steroidi, body building, diete estreme, tinture, raggi UVA, chirurgia plastica. Da cos’è data la differenza? Da una cultura in cui il bagaglio dei valori è stato spazzato via dai media, da una nuova e “incosciente” coscienza pubblica. In questo senso l’arte corporale ha tanto da dire, come modo per riempire quella mancanza di valori, di spazi e di creatività della modernità. D’altronde, pensandoci bene, nessuno vorrebbe abitare tutta la vita tra quattro mura spoglie: tutti presi a inseguire bisogni che poco hanno a che fare con la nostra natura profonda, ci dimentichiamo di quanto il corpo sia la nostra vera casa. Un corpo che nessuno ha scelto ma a cui allo stesso tempo siamo attaccati, temendo troppo per la sua fragilità: il pensiero deve abitare il corpo, ma deve anche poter camminare assieme ad esso e, perché no, decorarlo e comunicare noi stessi senza bisogno di parole.




lunedì 10 ottobre 2011

Spunti à la garçonne: la donna porta i pantaloni!




Lasciando da parte le questioni freudiane legate all’invidia femminile nei confronti della figura maschile , si può dire che sono molte le donne che amano arricchire il proprio stile con qualche dettaglio mascolino per un tocco di austerità in più: è proprio da questo scontro tra l’anima romantica e quella severa, tra la delicatezza e la sfrontatezza, che nasce un look elegante, cangiante, ipnotico. E’ così che appare magicamente un essere dalla bellezza algida e intangibile. E’ questo che ci attende per la prossima stagione autunno-inverno? Sulle passerelle abbiamo visto nuove e stravaganti tendenze, ma forse una delle più interessanti è proprio quella che vede protagoniste le donne che sembrano pescare dal guardaroba dei propri fidanzati per dichiarare una forte presa di posizione senza rinunciare alla propria femminilità, ma bensì per esprimerla con uno stile androgino e sottilmente ambiguo. Sono numerosi gli stilisti che hanno deciso di vestire la proprie modelle con abiti maschili, seguendo lo stile “à la garçonne”. Capo di culto in questa stagione è sicuramente il blazer, la giacca dal taglio maschile declinata in vari modi dalle differenti case di moda, ma spopolano anche tagli di capelli corti, camicie da uomo e gli immancabili pantaloni, innegabilmente femminili. E pensare che nel Trecento pareva ovvia l’esclusione delle donne dal portare indumenti che non fossero sottane: ricordiamo che uno dei motivi per cui Giovanna d’Arco finì sul rogo fu proprio la mancata rinuncia alle sue brache aderenti. Bisognerà aspettare i couturier europei del primo Novecento nonché la celebre Coco Chanel per la proposta femminile di questo capo, e finalmente l’haute couture ha scoperto il casual! Insomma, un vero e proprio femminismo della moda, uno stile mascolino che affonda le sue radici solo all’inizio del secolo scorso e trova un’icona nel romanzo di Victor Marguerite "La Garçonne", manifesto della donna emancipata. E chi poteva presentare una tale linea di tendenza per il 2012 se non Chanel? Per il celebre brand, la parola d’ordine di questa stagione sarà sovrapposizione di linee e tessuti, per dar vita a questa ispirazione maschile con quel tocco “girlie” che non poteva di certo mancare. In primis la comodità, a cui Chanel regala sfumature rock con anfibi, lunghe cappe in lana e grandi tasche in pelle nera, e bon ton, con mini abiti dal taglio gilet e vestitini in chiffon.  Anche Dolce & Gabbana non si lascia sfuggire questa misteriosa aura di androginia, con pantaloni spezzati al polpaccio, calzini in bella vista e bretelle. In questo tipo di look è certamente di grande importanza la ricerca del dettaglio, dall’ occhiale dalla linea pulita e geometrica al cravattino allentato nel modo giusto. Ma se abbiamo fretta e vogliamo indossare qualcosa che colpisca e al tempo stesso sia comodo e portabile possiamo scegliere anche una semplice camicia bianca, da accompagnare con un cravattino nero o un nastro lasciato morbido. Oppure, se si ama una bella giacca da lavoro dalle linee maschili è buono concedersi una bella scollatura o degli shorts che lascino in vista la gamba nuda. Insomma, il consiglio è sempre quello di mixare sapientemente l’emisfero maschile con quello femminile, perchè un bel tacco 12 non guasta mai!

domenica 2 ottobre 2011

Diversamente presente


La folla, il caos, la freneticità contemporanea non mi intimidiscono, fanno parte di me ma non condizionano il mio essere. Io ci sono, e non ho paura di osare ed esprimermi nell’apparenza, ma la mia autenticità va aldilà della sfera sensibile, percettiva, aldilà del senso comune. Io sono qui, ma dappertutto: per conservare la mia unicità, per non essere risucchiata nel vortice della banalità e delle scelte già fatte, ho bisogno di un mondo che solo io posso raggiungere. Ho una chiave di cui nessuno ha la copia, per lanciare un ponte tra realtà e pensiero, tra routine ed immaginazione, tra il presente e i bei ricordi. La folla non potrà mai raggiungermi, non potrà mai giudicarmi, non potrà mai capirmi, ma potrà solo chiedermi perché. Perché sei qui ma dappertutto? Perché l’immaginazione porta ovunque, non ha regole, non ha limite, non ha delusione, perché rifletto me stessa nell’apparenza ma nessuno potrà mai vedere la vera figura che per tutti è solo un frammento sfuggente.













La mia idea è nata dalla riflessione sul contrasto tra preoccupazione per la propria libertà di espressione nell’ originalità e la “minaccia” rappresentata dalla moltitudine con cui veniamo a contatto ogni giorno, che spesso pregiudica l’identità e le scelte personali. L’unica difesa in tal senso è l’immaginazione: permette di rendere visibile il nostro essere nello stile, ma è anche lo strumento che permette di abbandonarci ai pensieri, per distaccarsi almeno temporaneamente dalla realtà, a volte troppo opprimente e ripetitiva, a costo di presentare un’espressione assente. I quattro scatti rappresentano in modi diversi questo contrasto conflittuale ma per niente contraddittorio. La protagonista presenta sempre lo stesso atteggiamento “diversamente presente”, ma è decisa e intenzionale nell’espressione della propria immagine. Nella prima foto ci troviamo per la strada, ambientazione tipica della città: una città/giungla, in cui appare ironicamente la sua “regina” in perfetto stile animalier, ma che in quel momento non ne fa assolutamente parte, risulta al di sopra di tutto ciò che le sta intorno, perché il suo pensiero vola in alto. Nella seconda foto ecco un altro luogo della quotidianità: la metro. Da un mezzo pubblico all’altro, da casa al lavoro, tutto è governato dalla sobrietà, per il resto non c’è tempo. Per la nostra protagonista glam rock con un tocco burlesque tutto ciò non ha senso: perché mettere la comodità al di sopra dell’espressione di sé? Nella terza foto la folla si affretta ad acquistare frivolezza e mode pronte, ma tutto ciò è poco interessante: meglio creare un glam tutto nuovo, alternativo ma con stile. Nell’ultima foto viene celebrata l’immaginazione attraverso la lettura, un po’ come se fosse un’arma. Tutto ciò pare necessario per il  cammino verso la costruzione della propria identità personale, un cammino vario che non finirà e che è un piacere percorrere, perché ogni tentativo di differenziazione sarà sempre una necessità della persona.

Progetto di Fashion Styling_IED Rome


Exia


domenica 14 agosto 2011

Fashion icon: Lady Gaga, una critica vivente all’impersonalità di massa.


Ipocrisia, omologazione, scarsa o falsa coscienza. Qual’è la cura? Lady Gaga, una critica vivente alla condizione di impersonalità che ormai domina la società di massa. Scrive Seneca il filosofo: “La dimestichezza con la folla è nociva: non c’è chi non riesca a contaminarci senza che ce ne accorgiamo.” Certamente la amatissima e criticatissima Stefani Joanne Angelina Germanotta risulta essere un antidoto perfetto ai giudizi della folla, che sembrano scivolarle addosso come nulla: ogni soggetto sembra convinto di esprimere a pieno la propria libertà comprando una casa in campagna o una bella automobile? Lady Gaga risponde che non importa quanto denaro possiedi o dove sei nato, tutti noi abbiamo la possibilità di costruire una vita ad opera d’arte; e qual è la strada migliore da scegliere se non iniziare ad essere un’opera d’arte vivente? Infatti, nonostante le mille polemiche che la vedono protagonista incessantemente, la star di “Born this way” sembra sia riuscita a far valere il proprio talento non solo nel mondo della musica, comparendo al primo posto nella classifica dei 100 artisti più influenti stilata dal TIME e vincendo otto statuette su tredici nomination tutte per il singolo Bad Romance (Record assoluto per un cantante) durante gli MTV Video Music Awards;  Lady Gaga detta legge anche nel fashion system: lei stessa ha dichiarato di aver sempre avuto una grande passione per la moda, creando addirittura  un vero e proprio team di produzione responsabile della creazione di molti dei suoi vestiti, accessori per il palcoscenico e pettinature. Questo progetto collettivo, denominato "Haus of Gaga", che ricorda un po’ il sincretismo all’avanguardia della “Bauhaus”, crea non solo capi d'abbigliamento, ma anche scenografie e nuovi tipi di suoni, all’insegna della sperimentazione artistica, a cui partecipano stilisti e produttori, dando vita ad un team creativo sul modello della Factory di Andy Warhol. Perciò Lady Gaga non può che essere considerata un’icona della moda. Il suo abbigliamento eccentrico e rivoluzionario è riuscito a convincere anche il Council of Fashion Designers of America, ovvero i guru dello stile negli USA, che l’hanno premiata come “style icon”, imponendosi come modello originale e innovativo. Sfoggiare energia e outfits ad effetto sono il pane quotidiano della regina dell’elettro-pop, che, uniti alla sua musica con influenze urban e blues, rendono le sue performances indimenticabili e di forte impatto. Vera Wang, icona nell’industria della moda, ha espresso il proprio favore nei confronti della cantante: Lady Gaga non si è lasciata trasportare dalle tendenze sfuggevoli del momento, ma ha creato una nuova e impetuosa corrente che solo lei riesce a comandare, non smettendo mai di stupirci. Ma se ci si ferma al look eccentrico, che ha solo l’obiettivo di catturare l’attenzione e allo stesso tempo scandalizzare non potremo capire se tutto ciò fa parte della sua personalità oppure sia solo una serie di imposizioni dettate dai produttori discografici: bisogna riconoscere che la camaleontica popstar  riesce sempre a far sì che ogni sua apparizione, in virtù delle sue scelte, faccia sempre notizia, accompagnata dagli immancabili e numerosi click su YouTube. E’ possibile che tutto ciò sia solo una maschera costruita abilmente per scalare le vette del successo, ma anche se fosse così cosa cambierebbe? Chi ha deciso che lo stile debba rappresentare per forza la nostra identità personale, e non invece aiutarci a costruirne una più prorompente, grintosa, pronta alla concorrenza e senza eguali? Sono due le caratteristiche a cui non dovremmo mai rinunciare in questo mondo che ai giorni d’oggi pare divorarci da un momento all’altro: genialità e messa in gioco di sé.

lunedì 25 luglio 2011

Non solo sushi: la brezza orientale pervade il life style.



L’oriente stupisce e ammalia. Lo ha fatto nei secoli con le sue antiche tradizioni e lo fa tutt’ora, nell’epoca dell’hi–tech e della velocità sugli aggiornamenti contemporanei, a cui peraltro ha contribuito enormemente. Il fascino che l’oriente esercita sull’Europa influenza continuamente il nostro vivere quotidiano e crea un sincretismo culturale che ormai non possiamo che abbracciare con entusiasmo e curiosità. Aperti alla novità, non possiamo che farla propria. Una delle prime tentazioni riguarda certamente il gusto: involtini primavera, spaghetti di soia e frutta caramellata per gli amanti della cucina cinese. E per gli amanti del pesce crudo, dal take away agli elegantissimi ristoranti zen, tanto e coloratissimo sushi, bello da vedere e buono da mangiare; estremamente kawaii. Cos’è ilkawaii? E’ un fenomeno nato negli anni ’80 proveniente in particolare dalla cultura giapponese delle anime, e per l’appunto, tende a indicare tutto ciò che è carino, tenero e colorato. Tuttavia col passare degli anni l’aggettivo ha allargato la sua connotazione non solo agli oggetti, ma è diventato una vera e propria tendenza, uno stile di vita esteso all’inverosimile con lo scopo di realizzare il sogno delle ragazzine giapponesi (e ormai di tutto il mondo): essere carine. Il cambiamento kawaii non ha a che fare solamente con l’estetica, ma anche nel comportamento, con un atteggiamento perlopiù timido e ingenuo; e nel linguaggio, in cui si preferisce l’utilizzo di parole dal suono dolce: una rivoluzione dei canoni , una forma di liberazione dalla società statica, con lo scopo di voler solamente suscitare sentimenti postivi e piacevoli, per prendere tutto meno sul serio e con leggerezza.Colore e leggerezza sono due parole che non sono sfuggite ai deus ex machina dell’alta moda, che hanno saputo interpretare la brezza proveniente dall’oriente con estro innovativo: sulle passerelle trionfano asimmetrie, sete e delicate fantasie floreali. Louis Vuitton, per questa primavera-estate, veste una donna eccentrica ed estrosa in cui predomina il fascino della Cina. I tessuti, brillanti, preziosi ed elettrici, non passano inosservati attraverso l’accostamento di tonalità forti: il viola, il giallo, il blu, e naturalmente il nero. Le linee sono tipiche e squadrate, con l’aggiunta di spacchi e scollature vertiginose; oppure, se non si tratta di abiti lunghi, con pantaloncini dai colori frizzanti che esaltano la figura femminile e prestante con l’immancabile supporto di scarpe altissime e pochette altrettanto raggianti. La collezione Kenzo si è invece lasciata inebriare dal fascino del kimono, capo tipico della tradizione nipponica, tra ampi pantaloni ed eccessi cromatici volutamente netti e decisi; mentre la donna Armani pare quasi una dama appena uscita da un lussuoso soggiorno del Sol Levante: casacche raffinate e tempestate di perline ton sur ton, gonne pantalone lucide dagli amabili colori pastello, e giacche cortissime coperte da mille bottoni. Amanti della moda lasciatevi andare all’esplosione di energia e alla delicatezza soave, senza mai mettere da parte l’eleganza. Oriente e occidente non sono mai stati così vicini.

venerdì 15 luglio 2011

La moda racconta la storia: il lusso tra innovazione e tradizione.

Nella prestigiosa cornice dell’Hotel Bernini Bristol, il 7 Luglio ha avuto luogo la tappa finale dell’evento “La moda racconta la storia”, organizzato da Accademia del Lusso di Roma in occasione delle celebrazioni per il centocinquantesimo dell’Unità d’Italia. In effetti la location scelta per l’occasione non è per niente casuale: il palazzo che si affaccia su piazza Barberini infatti, fu aperto durante la presa di Roma nel 1870, episodio del Risorgimento che sancì l’annessione di Roma al Regno d’Italia. La manifestazione, inserita negli eventi collaterali della settimana della moda per AltaRoma- AltaModa, ha presentato una giornata ricca e varia, attraverso workshops e seminari, per concludere in bellezza con una sfilata, frutto del lavoro compiuto dagli studenti delle sedi di Milano, Treviso, Palermo e Roma. I quarantanove abiti scelti riflettono alla perfezione lo spirito dell’evento, della moda come espressione artistica, come forma di linguaggio che vuole celebrare alla pari di tutte le altre arti la grandezza del proprio paese attraverso i secoli, dall’ Unità che ci ha reso partecipi della stessa sorte, nel bene e nel male. Tutto è nato da una scommessa, da un’idea maturata tra le aule dell’Accademia del Lusso, con l’obiettivo di omaggiare anche il primo lustro di vita della scuola di moda: ciò che viene sottolineato dalle parole ma ancora di più dai modelli che hanno sfilato è celebrare quella parte d’Italia che vuole guardare avanti, che non si arrende, che spende la propria creatività alla ricerca dell’innovazione, per aprire uno spiraglio di futuro senza mai dimenticare le tappe storiche che ne hanno permesso il raggiungimento. Tutto ciò è espresso attraverso evocazioni esplicite e non, come il tricolore, sia negli abiti che negli accessori, le foglie d’alloro “dantesche” come parte integrante del modello, il richiamo alle camicie garibaldine, sia in rosso che nella variante candida, ma anche attraverso linee che ricalcano la modernità dei nostri giorni: tagli lineari, in cui l’utilizzo del bianco viene molto apprezzato, così come quello del bicolor, ovviamente affiancando il bianco sia al verde che al rosso. Ma la varietà dei modelli non finisce qui: tripudi di pizzi e merletti, maniche a palloncino, camicioni dal taglio “masculin” interpretati con femminilità,  ci riportano direttamente all’Ottocento, mentre gli abiti dai tessuti più leggeri, svolazzanti, e dalle trasparenze che vanno dalle tonalità del viola a quelle del rosa antico, ci ricordano quella parte di moda eterea, espressione di una bellezza quasi universale, che non ha bisogno di ostentare per mostrarsi in tutta la sua eleganza. L’ “aura mediocritas”, la misura d’oro tanto decantata dal celebre Orazio, viene qui portata al livello più alto della sua dimensione artistica, mostrando una donna che viene valorizzata dal proprio abbigliamento e non viceversa, una donna radicata nella storia e cresciuta attraverso di essa, nel proprio ruolo sociale come nella propria libertà. Esattamente la stessa libertà che si oppone all’egoismo soggettivo, alla politica che non è politica ma tirannide, all’individualismo fine a se stesso: una libertà che delinea le sorti di un paese, che si nutre di intraprendenza senza rinunciare mai alla propria identità costruita nel tempo, tracciando i segni della contemporaneità attraverso i simboli che evocano il passato.

sabato 18 giugno 2011

Moda sauvage tra zebre e leopardi: welcome to the jungle!


Blumarine

Sappiamo tutti che la città è una vera e propria giungla, la viviamo ogni giorno, ma in quest’ultima  stagione la metafora è da prendere nel senso letterale del termine. La stampa animalier ha la meglio su tutti i guardaroba, dall’abbigliamento agli accessori che lo completano, trucco compreso, in particolare sulle unghie, con smalti bicolor dal sapore selvaggio, e negli ombretti abilmente modulati per uno sguardo felino. In scena da sempre sulle passerelle, l’animalier è ormai un classico, ma ultimamente è diventata una tendenza immancabile: si trova dappertutto, su scarpe, borse, cappelli, abiti, totalmente o anche solo con un dettaglio, ma di certo non poco vistoso, magari per smorzare l’aria troppo seria e formale di alcuni outfit. Che poi sia un classico è innegabile, forse la tendenza più antica al mondo e dalle origini curiose; già nei popoli primitivi era diffuso l’utilizzo di pelli animali, e non semplicemente per evitare condizioni climatiche sfavorevoli. Lo stesso Charles Darwin afferma che “i vestiti furono fatti primariamente a scopo ornamentale e non per tener caldo”. Infatti la decorazione, fondamentale nella vita e nella cultura di questi popoli, era influenzata profondamente da riti e credenze legati alla magia e alla superstizione:  indossare le pelli degli animali uccisi avrebbe dovuto trasmettere all’uomo la forza degli animali stessi. Tutt’oggi questo vestire che avvolge quasi come una seconda pelle, carica il corpo di significato, per una donna “sauvage” che mette da parte timore e insicurezze e richiami invece la libertà dello stato di natura, fatto di seduzione e impetuosità , di coraggio ed emancipazione. Le stampe maculate, zebrate o pitonate  non sono rimaste certo indifferenti all’ispirazione di vari stilisti, che hanno interpretato questo trend senza tempo in maniera fresca e innovativa, in particolare Dolce & Gabbana, Blumarine, Burberry Prorsum e ovviamente Just Cavalli, facendone un cavallo di battaglia vincente tanto nell’alta moda quanto nelle riproduzioni che vediamo e che indossiamo in giro per la città. La star della nuova primavera-estate sembra essere la stampa leopardata, ma anche lo zebrato è parecchio gettonato, tra semplicità ed esasperazione delle fantasie; in effetti, la novità della stagione è proprio il fatto di abbinare tra loro le stampe animalier, perfino il “pitonato”! Per un effetto più sobrio l’accostamento ideale è dato dall’animalier su tinta chiara, molto chic e facilmente abbinabile ad accessori in pelle. Assolutamente da evitare  i tessuti “pelosi”, che possono risultare troppo kitsch e cadere nel volgare, molto meglio invece le stoffe leggere e svolazzanti come il chiffon. Affianco alla versione più classica dell’animalier, che riprende i toni bruni più o meno chiari delle pelli animali, per chi non  vuole passare inosservata, ecco le alternative di colori e materiali: largo ai colori shocking come il viola, il turchese e il fucsia. E’ sicuramente un mix contrastante e che da gran peso al look, ma di grande effetto, capace di portare in sintesi la tradizione più antica e sevaggia con le tonalità neon e sgargianti, perlopiù inesistenti in natura. D’altronde, se si vuole risultare audaci, bisogna farlo fino in fondo. E allora via alla creatività, al libero sfogo espressivo nei colori e nei manti degli animali della savana: welcome to the jungle!

lunedì 6 giugno 2011

Il mondo visto in pixel e occhialoni, il mondo nerd.

Molti definiscono l’avvento dei social networks la rivoluzione del “soggetto”, in inglese il celebre Nerd. Occhiali oversize perlopiù neri, magliette con scritte e immagini non facilmente intuibili e un atteggiamento curioso, un po’ da classico ragazzo impacciato e piuttosto schivo: tutto ciò è il classico Nerd. Vi chiederete che gusto c’è nel seguire uno stile così da “individuo socialmente poco inserito”, che peraltro ultimamente sta avendo un successo strepitoso.
Il nerd, evoluzione (o regressione) del tipico bravo ragazzo inglese, detta legge tanto nelle passerelle e tra le comparse del fashion system, quanto e soprattutto tra la gente comune; dagli adolescenti ai trentenni, per quel tocco di aria intellettuale che tanto sembra essere una condizione di stile fondamentale per varie occasioni: per una mostra d’arte o la presentazione di un libro, oppure ancora una semplice uscita in centro all’insegna della sobrietà. Le griffes che hanno invaso gli scaffali dei negozi con outfits dal gusto “college britannico” sono perlopiù Energie, Meltin’ Pot e Gas, che hanno creato prodotti di lana lavorati a maglia, gilet smanicati, trame scozzesi e cardigan arricchiti con macro-bottoni; insomma lo stile tanto amato dalle nonne. I jeans sono quasi totalmente spariti dall’armadio del Nerd, troppo street style per un ragazzo tutto libri e passione per l’informatica che ha una predilezione invece per gli skinny pants strettissimi e dalle tinte scure; in linea con la tendenza un po’ misantropa degli emo, anche loro amanti della vita sociale (quasi esclusivamente) virtuale. Accessori assolutamente d’obbigo sono le converse con lacci oppure old school; e ovviamente i grandi occhiali dietro i quali sembrano quasi nascondersi queste personalità un po’ strane e certamente misteriose. Nell’universo femminile tutto ciò si traduce in ballerine, leggins e camicione stile indie, assieme a tutti gli altri elementi vintage che contribuiscono all’apparenza di noncuranza verso la moda, ma che probabilmente sono invece concertati con occhio molto vigile sulle tendenze del momento. Il Nerd “ante litteram” è il classico personaggio che negli intrecci risulta sempre d’animo gentile e pacifico e viene trattato male dalle figure di successo, sicuramente inferiori dal punto di vista intellettuale; oppure lo “scienziato pazzo” reso aggressivo e vendicativo da una vita triste e solitaria, ma che in ogni caso è il personaggio più al margine. E in quest’epoca abbiamo assistito alla rivincita di tutti i Clark Kent e i Peter Parker, che non hanno più bisogno di avere un’identità segreta per essere accettati, ma semplicemente devono mostrarsi per quello che sono. Come viene affermato nel film “La vendetta dei Nerd”: “Chi ha scritto i libri più venduti? I nerd. Chi ha diretto i film hollywoodiani di maggior incasso? I nerd. Chi ha creato la tecnologia avanzata che possono capire solo i creatori stessi? Nessun altro che i nerd”. Insomma, l’era del palestrato tutto muscoli e popolarità è passata da un pezzo; perciò indossate i vestiti più formali che avete, fatevi una cultura su fumetti, giochi di ruolo e videogiochi e tutti saranno ai vostri piedi.


lunedì 30 maggio 2011

Il new dandy: per un uomo intraprendente, grintoso, “rockmantic”.







Consapevolezza individuale, conciliazione di bellezza e moda, mistero e aria intellettuale, apparente distacco dalla realtà: tutto ciò è l’uomo “new dandy”, colui che esprime uno stile che viene da lontano, che ha gusti, ma non pietrificati, e che è capace di creare un mix sapiente di originalità e classico, a volte sforando volutamente l’eccentricità, per non apparire mai il semplice “trendy snob” della domenica. Il new dandy si ispira al passato, all’atmosfera decadente ma nutrita di edonismo e  amore malinconico per la vita fugace; è enigmatico perchè rompe gli schemi e ne crea di nuovi, rifiutando da sempre la falsa aristocrazia e il perbenismo borghese, i suoi valori sterili dell’utile e del guadagno.  Infatti nella vita, come l’esteta di fine Ottocento, il new dandy è colui che ostenta eleganza e ricercatezza, contro la volgarità e l’arroganza borghese; si erge al di sopra delle masse, infrange il moralismo dominante e, anche solo con il proprio aspetto e stile provocatorio, conserva un grande valore di contestazione, accompagnato dal culto dell’arte come forma stessa di vita, come sfida al mondo materiale che ha messo al margine l’incanto e la sacralità dell’arte. E qual è il modo migliore di fare della propria vita “un’opera d’arte”, come afferma l’intramontabile Oscar Wilde, se non iniziare ad essere un’opera d’arte? La risposta viene data certamente dalle collezioni primavera-estate 2011, che portano in passerella un uomo classico, ma innovativo e sfrontato, dandy per l’appunto. L’equilibrio perfetto tra formalità e casual personalizzato è stato raggiunto certamente dalla collezione Gucci di Frida Giannini, in cui il valore del dettaglio e la creatività disinvolta fondono al meglio la raffinatezza impeccabile allo spirito urbano più eclettico: un lusso senza tempo, tra seta ultraleggera, denim dal taglio classico e doppipetti. I giochi di colore vanno dalle diverse gradazioni di blu ai toni della terra, fino ai grigi polverosi da “poeta maledetto” e ai nuovi cromatismi sul rosso delle texture pregiate. Ma non solo, la naturale eleganza del bohèmien si esprime anche nello stile più “scanzonato” da viaggiatore instancabile e ironico, come nei modelli Enrico Coveri, Kenzo e Versace, dove spopolano i quadri e le righe come vero e proprio must di stagione anche nelle giacche e negli immancabili smoking serali. Insomma, un’eleganza statement si, ma che va ben oltre le regole, e lo fa con stile e nonchalance! La vanità senza limiti si unisce alla tradizione anche nelle sfilate “british post punk” di John Richmond, un concentrato di capi unici e nel complesso austeri, che guarda all’uomo grintoso che non ha paura di rischiare, basti notare i contrasti abilmente ponderati tra stile futuristico del nylon e dei tessuti tecnici uniti alla pelle e alle pellicce da vero rocker. E’ la rivincita dell’intellectual-chic , da Wilde a D’Annunzio e Baudelaire, che da vita ad una perfezione sofisticata ma stravagante, con una tendenza al gusto rétro ma anche rock e romantico, potremmo definirlo “new rockmantic”, in cui la passerella è illuminata da un bagliore notturno, immersa in un’atmosfera di ambiguità enigmatica, in cui l’uomo esibisce la propria diversità “superiore” e si diverte a stupire, avanzando con stile verso il successo.

Una stagione fluo ed eccentrica, il protagonista è il Colour Blocking!

“Il colore mi possiede. Non ho bisogno di tentare di afferrarlo. Mi possiede per sempre, lo sento; io e il colore siamo tutt’uno”: questa celebre frase del grande pittore Paul Klee potrebbe essere considerata una sorta di manifesto della prossima primavera-estate, una stagione di moda all’insegna del colore, del colore allo stato puro, tra vernici lucide e trasparenze. Se non avete ancora acquistato qualcosa di fluo, in particolare un immancabile accessorio macro, siete giusto in tempo per stare al passo con le tendenze, che riprendono un po’ i must dei decenni precedenti, a partire dagli anni ’70.  Il design è infatti minimal e geometrico, ma la semplicità delle linee, che segue un canone di misura all’insegna della semplicità, è perfettamente controbilanciata da un’esplosione di colori: si proietta così un’immagine spaziale che rompe con l’ambiente circostante per rimanere impressa, ed è impossibile che impallidisca o svanisca nell’immaginario dello spettatore. E’ proprio questo l’obbiettivo del “colour blocking”, rendere  l’outfit  dirompente, che non risulti per niente timido o insicuro ma anzi, pronto ad accostamenti del tutto insoliti, per una donna provocatrice che effettivamente può permettersi questi contrasti netti e “vitaminici”. Il tripudio di colori da la possibilità di sperimentare sempre nuovi accostamenti, ma attenzione! Il monocolore non dovrà essere abbinato con un neutro bianco o nero, ma con un colore altrettanto forte, magari meglio se un complementare del primo, un po’ come le nuove pochettes bicolore Fendi. E’ ora di dire addio al total black che ci ha accompagnato in questi mesi freddi e impegnati, per buttarsi nel brio e nel divertimento della primavera e delle prossime vacanze, un’atmosfera già palpabile nelle ultime sfilate “fluo” di Milano, New York e Parigi: mettiamo da parte le tinte tenui e gli accostamenti armonici per dare il benvenuto ai sgargianti fuxia, rosa shocking, bluette, verde acido e così via, dagli occhiali da sole in stile vintage alle scarpe e alle borse con dettagli in pvc, che enfatizzano ancora meglio questa inclinazione very pop che parte dalla strada. E’ proprio a quest’origine street style che si attiene anche la nuova collezione Killah, unendo colorazioni fluorescenti a stampe elettriche: un total look multicolor che fa proprie le tonalità aggressive e le forme vivaci per dare una nuova luce alle giornate della metropoli. Ma l’arancio, il lime e il blu elettrico non si fermano al clothing, investono anche il beauty, con ombretti e rossetti neon che rendono il viso vivace e fresco, illuminandolo e reinventando il make-up, per non parlare degli smalti, su unghie rigorosamente corte: le nuances più gettonate sono il giallo canarino e il verde acido, una sorta di gara a chi mostra la tinta più vistosa e improponibile. Potete sbizzarrirvi come meglio credete ma appunto, fatelo, perché la parola d’ordine della prossima stagione è stupire, non passare inosservate, ed esaltare la bellezza inusuale e non convenzionale, per puntare sull’eccentricità e dare vita a un glam tutto nuovo.

No al Sanblasting method: Moda killer o dalla parte dei lavoratori?

I jeans scoloriti, dall’aspetto vissuto, non progressivamente scoloriti dalle abitudini e dai gesti quotidiani, possono certamente dare un bell’effetto, ma pochi sanno che possono uccidere: non chi li indossa, ma chi li produce. Nel Gennaio 2011 è partita la campagna internazionale contro il processo di sabbiatura, con cui il denim, il tessuto del jeans, assume uno stile vintage. Questo metodo, definito “sandblasting” è il trattamento più a buon mercato e ottimo dal punto di vista stilistico poiché produce i risultati migliori: consiste infatti nello sparare la sabbia ad alta pressione attraverso un compressore, e l’operaio può così manovrare l’effetto sul tessuto in maniera molto precisa. Insomma, un tocco in più a cui gli amanti del jeans scolorito non possono proprio rinunciare, ma che purtroppo ha effetti negativi inimmaginabili: gran parte dei lavoratori che praticano il metodo sandblasting si ammala di silicosi. Infatti, attraverso l’inalazione delle polveri che contengono la silice della sabbia,  viene contratta molto facilmente questa malattia, che risulta irreversibile, incurabile e spesso mortale. In Turchia il processo di sanblasting ha avuto inizio nel 2000 ed è stato bloccato nel 2009, dopo le denunce di sindacati e associazioni, quando purtroppo si era già stimata una percentuale di affetti da silicosi che superava ben il 50% dei lavoratori. I morti accertati da Novembre 2010 sono 44 e nonostante il Ministero della sanità abbia deciso di fornire (giustamente) cure gratuite, i produttori si sono limitati a trasferire gli ordini di sabbiatura verso altri paesi, come se in tal modo venisse risolta magicamente questa condizione drammatica dei lavoratori. La campagna contro il sandblasting method è portata avanti da Clean Clothes, una rete di organizzazioni sindacali e organizzazioni non governative europee, e ha suscitato un’eco vastissima. La maggior parte dei jeans slavati destinati alla vendita in Europa verrebbero trattati in paesi molto poveri come il Bangladesh, l’India, la Cambogia, il Messico, e soprattutto senza alcun riguardo per i diritti dei lavoratori: i laboratori di sabbiatura non sono altro che l’ultimo anello della filiera di produzione, in cui i controlli sono davvero scarsi. Basti pensare che il “tetto”previsto dalle direttive comunitarie per la percentuale di silice è dello 0,5%, mentre la sabbia che viene utilizzata in questi paesi ne contiene fino all’80%, per non parlare della totale mancanza delle misure protettive fondamentali, come semplici  guanti, tute o mascherine. Ciò a cui mira questa campagna è mettere fuori legge la sabbiatura, non acquistare jeans sabbiati e in particolare far pressione sulle aziende del settore tessile in modo che aboliscano definitivamente questa tecnica; mira dunque a concretizzare l’appello ai grandi marchi, a cui alcuni hanno già risposto. Levi-Strauss ed H&M hanno annunciato che bloccheranno la vendita di jeans sabbiati, Gucci ha elaborato una strategia per abolire il sanblasting method dalle sue fabbriche, e Pepe Jeans ha sviluppato da tempo una “politica sociale corporativa” in materia di salute e sicurezza: nei lavaggi utilizzati per i jeans, Pepe Jeans dichiara infatti che le fabbriche con cui collabora non fanno uso di metodi di invecchiamento che utilizzano la sabbia, ma sfruttano la pressione dell’acqua, tecnica totalmente priva di rischi. Non vi è stata invece alcuna risposta da altri big come Cavalli, Armani e Dolce&Gabbana.  E’ proprio a loro che è destinata la “tasca virale”, il quale logo è appunto “Nuoce gravemente alla salute”. Se quindi durante lo shopping vi dovesse capitare per le mani un paio di jeans sabbiati, occhio alla tasca posteriore, in cui potreste decidere voi stessi di applicare questa etichetta poco convenzionale, non per questione di gusti, ma per questione di diritti umani, per dire basta ai jeans che uccidono e soprattutto per dire basta alle aziende che sfruttano la manodopera a basso costo per accumulare profitto a danno di lavoratori ignari dei rischi che corrono ogni giorno.

Ironia e femminilità, ambiguità e provocazione…il tormentone burlesque.

Un bicchiere da cocktail di dimensioni gigantesche, luci soffuse accese, inizia una melodia “ammiccante”. Non è la nuova pubblicità del Martini, ma l’atmosfera tipica di uno spettacolo “burlesque”, il palcoscenico in cui la donna riscopre se stessa come creatura misteriosa ma allo stesso tempo “civettuola” e  diva, niente a che vedere con la volgarità. Dita Von Teese, eco vivente della leggendaria Betty Page, ha fatto scuola, e ha certamente dato filo da torcere a tutti coloro che la vedevano come un fenomeno retro da strapazzo, una sorta di maschera carnevalesca (seppur bellissima) che dura tutto l’anno. Tuttavia la giunonica Von Teese ha inaugurato questo tormentone originario della Belle Epoque anche all’interno della moda, come modella d’eccezione per vari stilisti, e come musa ispiratrice per collezioni di intimo che sfilano (e si sfilano) ad arte. Il fenomeno burlesque oggi impazza dappertutto: in particolare dopo la recente uscita dell’omonimo film, con l’intramontabile Cher e la camaleontica Christina Aguilera, il “New burlesque” si è fatto strada, sia come fenomeno d’intrattenimento, non più riservato esclusivamente all’universo maschile, sia come vera e propria attività fisica. Anche in Italia infatti grazie alle donne, dalle fanciulle poco più che maggiorenni fino alle madri di famiglia alla soglia dei quaranta, aumentano le iscrizioni ai corsi di “sexy fit”, in cui tutte si calano nella parte della diva ani ’50 per scoprire e riscoprire il piacere del gioco un po’ “ambiguo” ma anche motorio, un’alternativa alla solita attività della palestra: è un nuovo modo per apportare benefici alla propria tonicità ma anche all’autostima. Non solo, tra poco uscirà il nuovo reality dedicato a questo style d’altri tempi, “Lady burlesque”, in cui ragazze e donne speranzose si sfideranno a colpi di boccoli e boa di struzzo. In effetti nel burlesque è immancabile il supporto di guêpière strettissime in vita, piume e altri accessori scintillanti, tutto parte integrante di questo vero e proprio must, che va ben oltre il semplice sfoggiare la lingerie: certamente questa seduzione ironica e dal sapore vintage non può fare a meno di reggiseni a balconcino, corsetti che tolgono il fiato, coulotte altissime e fascianti, tutti ideati per modellare ed enfatizzare le curve femminili, ma tutto ciò è solo la base del burlesque, uno stile che incarna la vera arma della femme fatale, la seduzione. Com’è che questa forma di spettacolo ormai datata, provocante e satirica, è tornata in auge a XXI secolo ormai inoltrato? Attraverso l’eccesso, l’ironia e un tocco di comicità, il burlesque ha la capacità di far sentire la donna una vera star sensuale, con le sue curve, i suoi difetti, ma anche la sua capacità di non prendersi troppo sul serio. La comicità che caratterizza la seduzione è fondamentale nello strip retro, in cui si va ben aldilà del trionfo di autoreggenti, frangette bombate e labbra di fuoco, e ha a che vedere con un uso “glam” del tempo. Si, proprio il tempo. Perché? La risposta è ben evidente in una delle opere del filosofo danese Kierkegaard, “Diario di un seduttore”: il vero seduttore è il seduttore psichico, e il suo principale strumento di seduzione è appunto il tempo, modulato delicatamente. Il suo obbiettivo non è possedere fisicamente, ma mentalmente, frutto di un egoismo raffinato che trae piacere nel condurre a un soggiogamento totale senza a sua volta essere soggiogati, rimanendo sospesi in un’atmosfera coinvolgente ma indeterminata, proprio come quella evocata dalla pin up burlesque: «un'immagine che [...] non acquista mai contorni e consistenza, formata costantemente, ma non viene mai compiuta», e perciò non già un «individuo particolare, ma la potenza della natura, il demoniaco, che non [...] smetterà di sedurre come il vento di soffiare impetuoso, il mare di dondolarsi o una cascata di precipitarsi giù dal suo vertice.»