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martedì 6 marzo 2012

Hipsteria: una tendenza indie-screta.







Li vediamo passeggiare per strada con disinvoltura, aria di superiorità intellettuale e un certo distacco per l’ambiente circostante, come se dovessero prendere le distanze stesse dal proprio periodo storico: sono gli hipster. Sicuramente il fatto di affibbiare loro un’etichetta non andrà giù a molti, ma di fatto, se un unico concetto è arrivato a racchiudere vari atteggiamenti e modi di essere/apparire c’è sempre un perché. Per alcuni i cosiddetti hipster sono solitamente dei giovani universitari altamente pretenziosi, influenzati da alcune correnti (ma soprattutto contro-correnti) culturali e musicali, riflesse automaticamente nello stile “personale”. Da sempre un binomio vincente, la moda e la musica sono tra le forme artistiche più contaminate, e il trend musicale impone naturalmente ritmo, simbolico e fisico, alle tendenze urbane, dando spunti, suggestioni, e talvolta un pizzico di follia e trasgressione: forse è questo l’arricchimento ambito dagli hipster? Ispirati all’ “indie rock”, da sempre considerato un genere musicale di nicchia, manifestano esattamente questo carattere di anticonformismo e indipendenza a qualsiasi livello, in modo un po’ “aristoide”, come per stravolgere i canoni estetici predominanti. 
Ed ecco che si punta a un abbigliamento che voglia apparire superficiale per se stesso, che dia l'idea di essere stato scelto senza pensarci troppo su: un’esasperazione che sfocia in un vero e proprio conformismo, che detta legge sulla musica da ascoltare e sugli indumenti da indossare. Non che ci sia nulla di male, ma d’altronde evitare un’etichetta, seppur varia, per il pregiudizio dell’etichetta in sé non è un po’ troppo mainstream? Sta di fatto che accanto all’identificazione musicale e al desiderio di “autarkèia”, si è sviluppata, soprattutto negli ultimi dieci anni, un’etica indie a forte impronta culturale che a tratti sfocia paradossalmente nello snobbismo più inquadrato. L’immaginario indie è costellato di film e pellicole indipendenti, nonché di adorazione per alcuni dei registi più conosciuti ( Tarantino, Godard, Truffaut, Allen, Nolan, Sofia Coppola, Antonioni ) e per la letteratura post-moderna, come le opere di Charles Bukowski, e francese, soprattutto gli esistenzialisti Camus e Sartre, nonché le poesie di Baudelaire e Rimbaud. Skinny pants e occhiali nerd, vintage o Wayfarer (un po’ commerciali, non trovate?), mentre per le scarpe, maschili o femminili, le regole sono due: suola ultrapiatta e stile minimal; per completare il look, perfetti i cardigan larghi e vissuti (alcuni sembrano appena usciti da un lavaggio sbagliato) camicie grunge di flanella, t-shirt anni ’70, barbetta incolta per gli uomini e capelli spettinati o quasi per le donne. Gli hipster, in sostanza, si battono contro il mainstream, contro tutto ciò che è tendenza, che è popolare e di successo (indipendentemente dal fatto che tale successo sia meritato o meno), sono la rivendicazione dell’ indie rock e del kitch modaiolo, attuando una ricerca dell'originalità degna di lode. Purtroppo gli occhialoni giganti e l'urban fashion sono ormai andati a costituire quella stessa moda contro cui dovrebbero andare: alla disperata ricerca di uno stile di vita indie, gli hipster sono purtroppo caduti nel nemico da loro più temuto, la catalogazione. Divenuti una delle tante espressioni della creatività giovanile, la moda e la società li hanno ormai ingabbiati in molteplici definizioni. Dunque il termine hipster è utilizzato si, ma in maniera contradditoria, rendendo difficile l'identificazione di una cultura precisa, perché essa è un mix di stili: la peculiarità degli hipster, infatti, è la volontà di essere “inclassificabili”. Figlio ideale della retromania e dell’adorazione di tutto ciò che è vintage, l’indie potrebbe essere considerato anche la figura emergente della rete di significazioni scaturite dall’iper-realtà, concetto caro al filofoso francese Jean Baudrillard: tra conoscenza del mondo informatico, arti figurative, design, passato tech (fotocamere lomografiche, videogames a 8bit, graphic novels), gli hipster hanno costruito un piccolo universo di ricordi, revisionismi e perpetuo citazionismo, un background culturale nel quale si muovono dinamicamente, rendendoli animali urbani e cosmopoliti, ma fagocitando la soggettività individuale.



giovedì 8 dicembre 2011

Il fascino senza tempo della pelliccia: scelta etica o estetica?



Questo autunno-inverno uno dei protagonisti del guardaroba è un grande classico: la pelliccia. Proposta in tutte le versioni immaginabili, vera o finta, dai toni naturali o fluo, si ritrova dappertutto, dal classico copri spalla fino ai particolari su gonne, maglioni e addirittura sulle calzature. Un fascino davvero intramontabile, senza tempo, che continua a far colpo sull’immaginario femminile, e che viene riletto nelle varie collezioni con gusto contemporaneo ma anche con un tocco un po’ vintage e retrò. Ormai il freddo è alle porte, e appena molte di noi iniziano a chiedersi se comprarsi o meno una pelliccia, ecco che si riaffaccia la polemica se questa rappresenti o meno una scelta etica. Tanto la pelliccia quanto il dibattito su di essa sembra non passare mai di moda, e anzi, col tempo si è fatto sempre più intenso. Qual è la scelta veramente ecologica? Quella della pelliccia naturale o quella della pelliccia sintetica? Le posizioni a riguardo sono diametralmente opposte: i tradizionalisti ritengono che solo la pelliccia naturale possa essere ecologica, mentre gli animalisti sostengono che l’unica scelta di buon senso sia quella di una pelliccia che non derivi da animali. La pelliccia naturale è considerata dall’alba dei tempi come un indumento simbolo di forza, carico di significati magici, un po’ come se attraverso essa venisse trasmessa l’energia dell’animale da cui proviene; in seguito diviene simbolo di lusso e agiatezza, elemento fondamentale nel vestiario di imperatori e aristocratici. Il pelo utilizzato per la produzione di pellicce deriva da animali come la volpe, il lupo o l’orso, o da animali esotici (ora protetti) come le scimmie o le tigri, e con il processo di democratizzazione del lusso, è diventato un prodotto accessibile a tutti, dato l’abbassamento dei costi di produzione (infatti la più grande produzione di pellicce appartiene alla Cina). Nonostante le proteste che da anni continuano ininterrottamente, negli ultimi tempi si è vista nascere una serie di organizzazioni che incentivano l’uso di pellicce naturali, sostenendo la tesi che la produzione di queste pellicce sia la migliore dal punto di vista ecologico, poiché a contrario di quelle sintetiche, non vengono utilizzate sostanze chimiche e non dipende dal petrolio. Il dibattito oggi è questo: la pelliccia sintetica ha diritto di essere chiamata ecologica? Le ricerche scientifiche del laboratorio Ford Motors hanno comparato l’energia consumata per la produzione di pelliccia naturale e di quella sintetica: la produzione di un cappotto di pelliccia sintetica richiede circa 120,300 BTU (British Termal Units), e tenendo in conto anche i costi del trasporto e del cibo per gli animali delle fattorie,  la produzione di un cappotto di pelliccia naturale richiede 66 volte più energia rispetto a quella necessaria per produrre un cappotto di pelliccia sintetica. I dubbi a questo punto non dovrebbero più esistere, sia vista la conferma scientifica sul lato ecologico della pelliccia sintetica sia visto che scegliendo di acquistare questa e non una pelliccia naturale, scegliamo anche di non incentivare l’uccisione di altri animali per scopi meramente estetici. Togliamoci pure la mano dalla coscienza, perché molte delle pellicce proposte in passerella dai maggiori stilisti per l’inverno 2012 sono niente meno che sintetiche, anch’esse soffici, colorate, animalier, rasate, e a seconda delle loro caratteristiche assumono uno stile diverso e contrastante: una pelliccia dalle tinte brune o chiare è chic e un po’ altezzosa, una pelliccia corta blu elettrico è trasgressiva e punk rock, dallo slancio metropolitano. Se allora è vero che oggi tutti abbiamo il diritto di scegliere, è  vero anche che abbiamo la possibilità di fare una scelta responsabile. Perché fare una scelta ecologica significa fare una scelta etica, facendo si che un semplice indumento come la pelliccia attraversi la moda, ma assuma anche un significato più alto.

lunedì 30 maggio 2011

Ironia e femminilità, ambiguità e provocazione…il tormentone burlesque.

Un bicchiere da cocktail di dimensioni gigantesche, luci soffuse accese, inizia una melodia “ammiccante”. Non è la nuova pubblicità del Martini, ma l’atmosfera tipica di uno spettacolo “burlesque”, il palcoscenico in cui la donna riscopre se stessa come creatura misteriosa ma allo stesso tempo “civettuola” e  diva, niente a che vedere con la volgarità. Dita Von Teese, eco vivente della leggendaria Betty Page, ha fatto scuola, e ha certamente dato filo da torcere a tutti coloro che la vedevano come un fenomeno retro da strapazzo, una sorta di maschera carnevalesca (seppur bellissima) che dura tutto l’anno. Tuttavia la giunonica Von Teese ha inaugurato questo tormentone originario della Belle Epoque anche all’interno della moda, come modella d’eccezione per vari stilisti, e come musa ispiratrice per collezioni di intimo che sfilano (e si sfilano) ad arte. Il fenomeno burlesque oggi impazza dappertutto: in particolare dopo la recente uscita dell’omonimo film, con l’intramontabile Cher e la camaleontica Christina Aguilera, il “New burlesque” si è fatto strada, sia come fenomeno d’intrattenimento, non più riservato esclusivamente all’universo maschile, sia come vera e propria attività fisica. Anche in Italia infatti grazie alle donne, dalle fanciulle poco più che maggiorenni fino alle madri di famiglia alla soglia dei quaranta, aumentano le iscrizioni ai corsi di “sexy fit”, in cui tutte si calano nella parte della diva ani ’50 per scoprire e riscoprire il piacere del gioco un po’ “ambiguo” ma anche motorio, un’alternativa alla solita attività della palestra: è un nuovo modo per apportare benefici alla propria tonicità ma anche all’autostima. Non solo, tra poco uscirà il nuovo reality dedicato a questo style d’altri tempi, “Lady burlesque”, in cui ragazze e donne speranzose si sfideranno a colpi di boccoli e boa di struzzo. In effetti nel burlesque è immancabile il supporto di guêpière strettissime in vita, piume e altri accessori scintillanti, tutto parte integrante di questo vero e proprio must, che va ben oltre il semplice sfoggiare la lingerie: certamente questa seduzione ironica e dal sapore vintage non può fare a meno di reggiseni a balconcino, corsetti che tolgono il fiato, coulotte altissime e fascianti, tutti ideati per modellare ed enfatizzare le curve femminili, ma tutto ciò è solo la base del burlesque, uno stile che incarna la vera arma della femme fatale, la seduzione. Com’è che questa forma di spettacolo ormai datata, provocante e satirica, è tornata in auge a XXI secolo ormai inoltrato? Attraverso l’eccesso, l’ironia e un tocco di comicità, il burlesque ha la capacità di far sentire la donna una vera star sensuale, con le sue curve, i suoi difetti, ma anche la sua capacità di non prendersi troppo sul serio. La comicità che caratterizza la seduzione è fondamentale nello strip retro, in cui si va ben aldilà del trionfo di autoreggenti, frangette bombate e labbra di fuoco, e ha a che vedere con un uso “glam” del tempo. Si, proprio il tempo. Perché? La risposta è ben evidente in una delle opere del filosofo danese Kierkegaard, “Diario di un seduttore”: il vero seduttore è il seduttore psichico, e il suo principale strumento di seduzione è appunto il tempo, modulato delicatamente. Il suo obbiettivo non è possedere fisicamente, ma mentalmente, frutto di un egoismo raffinato che trae piacere nel condurre a un soggiogamento totale senza a sua volta essere soggiogati, rimanendo sospesi in un’atmosfera coinvolgente ma indeterminata, proprio come quella evocata dalla pin up burlesque: «un'immagine che [...] non acquista mai contorni e consistenza, formata costantemente, ma non viene mai compiuta», e perciò non già un «individuo particolare, ma la potenza della natura, il demoniaco, che non [...] smetterà di sedurre come il vento di soffiare impetuoso, il mare di dondolarsi o una cascata di precipitarsi giù dal suo vertice.»