sabato 12 novembre 2011

Tatoo e società, tra espressione di sè e filosofia del corpo.

Spesso veniamo a conoscenza di notizie come epatiti e gravi infezioni riportate in seguito a tatuaggi o all’applicazione di piercing. E’ certamente lecito chiedersi cosa possa spingere molti giovani e non a ricorrere alle pratiche “eccentriche” della body modification, ma è troppo facile e riduttivo risolverla con una semplice visione modaiola, di finto e costruito anticonformismo. Gran parte della società vede il forarsi naso, ombelico o l’ornamento tatoo come un’emulazione di mode lanciate dalle celebrità,  un modo per distinguersi dagli altri o peggio ancora, come afferma John Leo “un comportamento che nasce da un misto di insoddisfazione e provocazione, dato dal desiderio di indispettire i genitori e scioccare la gente”. Per una volta lasciamo da parte perbenismo, canoni sociali stereotipati e giustificazioni salutistiche e statistiche. Il tatuaggio è un’usanza antica quanto l’uomo, che va ben aldilà dell’estetica, e data la sua natura permanente, l’attributo di moda cade con estrema facilità: tutto ciò va ben aldilà della moda, e può assumere un profondo significato psicologico e ideologico, un modo per riappropriarsi del proprio corpo, per recuperare un’unicità che progressivamente vediamo violata dalla moltitudine con cui veniamo a contatto ogni giorno.  Individualizzare il proprio corpo è ciò che può definire e caratterizzare chi non vuole far parte di una massa amorfa, un modo per dire “Io mi accetto per come sono, ma diversamente da te e anche da te, perché posso giocare col mio corpo. Io mi accetto per come sono, anche se non corrispondo al tuo modello ideale.” Attribuire un significato profondo a un’immagine o una scritta che raccontano qualcosa di noi o delle nostre esperienze rappresenta il bisogno d’espressione che l’uomo ha dentro di sé dai tempi più antichi, un bisogno che oggi viene interpretato da tutti coloro che consciamente o non scelgono di imprimere qualcosa non solo nella mente. Secondo il neotribalismo, corrente che esplica gli sviluppi contemporanei delle antiche tradizioni del piercing e del tatuaggio, questi sono delle vie fisiche (e non solo) per distaccarsi dalla moderna società industrializzata. Cos’è diventato l’individuo nell’odierno sistema occidentale e capitalistico? Un produttore e consumatore di merce, un sottomesso alla merce, alla sua vendita, al suo consumo: tutto ciò non fa che bistrattare e infangare il corpo, allontanandolo dalla natura, da ciò da cui proviene. Perché non riappropriarsi di tutto ciò con questi “rituali”? Un po’ come i nostri antenati, probabilmente manifestiamo l’idea del giungere alla mente tramite il corpo, del dolore come una forma di conoscenza diversa e integrale. Il nostro corpo ci appartiene, lo sentiamo, lo viviamo, e se la body modification può esser vista primitiva, contro natura e immorale, date un’occhiata agli stravolgimenti che gli uomini “civili” apportano ai prodotti di madre natura: steroidi, body building, diete estreme, tinture, raggi UVA, chirurgia plastica. Da cos’è data la differenza? Da una cultura in cui il bagaglio dei valori è stato spazzato via dai media, da una nuova e “incosciente” coscienza pubblica. In questo senso l’arte corporale ha tanto da dire, come modo per riempire quella mancanza di valori, di spazi e di creatività della modernità. D’altronde, pensandoci bene, nessuno vorrebbe abitare tutta la vita tra quattro mura spoglie: tutti presi a inseguire bisogni che poco hanno a che fare con la nostra natura profonda, ci dimentichiamo di quanto il corpo sia la nostra vera casa. Un corpo che nessuno ha scelto ma a cui allo stesso tempo siamo attaccati, temendo troppo per la sua fragilità: il pensiero deve abitare il corpo, ma deve anche poter camminare assieme ad esso e, perché no, decorarlo e comunicare noi stessi senza bisogno di parole.