domenica 28 ottobre 2012

Tag me: la donna “taggata” nell’istantanea di tendenza.



TAG ME, ed ecco che l’eccellenza haute gamme fa sentire la propria voce anche dalla Spagna. Il marchio nasce dall'idea di creare dei capi su misura esclusivi per donne con individuali esigenze di vestire, tutti i giorni. Donne con valori e obbiettivi molto chiari, che apprezzano la qualità al giusto prezzo. Tag me non è quindi una linea di abbigliamento specifico, si tratta più che altro di un «raggio di azione» che contiene molteplici opzioni e che ispira e trasmette un’idea personale. I concetti portati avanti sono semplici ma molto ampi: la vita e l'abbigliamento vanno di pari passo. Gli uomini hanno bisogno di vestirsi non solo per bisogno di sopravvivenza, ma per essere in grado di socializzare; anche nelle comunità primitive le vesti  permettevano agli individui di differenziarsi l’uno dall’ altro. Il modo di vestire distingue le società, le tribù, le città, i paesi, i gruppi etnici. Noi tutti vestiamo in modo particolare, come particolari sono i nostri gusti, stili di vita, personalità, la famiglia, il lavoro, gli amici. Per Tag Me quindi, ogni persona, deve essere in grado di far emergere il proprio ego, le proprie aspirazioni e ambizioni al di sopra delle masse: la proposta per questa stagione è una sorta di didascalia visiva di questi concetti: il carattere del brand si manifesta in modo sofisticato e cosmopolita. Il freddo dell’inverno viene smorzato dal  tocco “caldo” dei polsini esterni e dei risvolti, che sono i veri protagonisti di questa collezione assieme ai materiali dei componenti interni ed esterni di altà qualità. Giubbotti, giacche corte e cappotti anni Settanta vanno dai toni del nero a quelli del castano e del caramello. Lo stile è allo stesso tempo moderno e chic, inconfondibile nella particolarità delle pelli. Questa nuova collezione comprende inoltre una giacca prodotta in esclusiva con la collaborazione del celebre designer Gori de Palma: un capo che trasuda di rock, attraverso diverse cerniere decorative nella parte anteriore e delle borchie disposte in serie nelle spalle, una sottolineatura glam della cura del dettaglio e dell’impegno nella manifattura. Il must della moda rimane sempre lo stesso: esprimere se stessi senza pronunciare una parola o mostrare un gesto. Ogni donna ha bisogno di avere un indumento che la faccia sentire a proprio agio in ogni luogo, senza perdere la propria comodità e praticità, che la vita moderna impone alle nostre giornate. Un capo su misura che ti faccia sentire unica, perché alla fine della giornata, ecco cosa sei. Unica.








Gigolò: L'homme indipendente à la conquête du monde.



Indépendant, éthéreal, et hors de toute convention. Audacieux, confiant en lui-même, intelligent et irrévérencieux. "Gigolo", Fashion to wear, est une marque italienne qui gagne du terrain chez l’imaginaire des hommes en Europe, et pas seulement, mais surtout il est à la conquête de l'homme français, parisien par excellence. En effet, grâce à son souci du détail, Gigolo propose un total look pour chaque occasion, et c'est exactement ce que chaque homme moderne cherche: un équilibre entre la simplicité et l'élégance indispensable, un veritable éclectisme. Il est vrai aussi qu'à cette époque l’"Urban wear" ne concerne plus seulement les «mauvais garçons de la rue», mais surtout l'homme qui veut atténuer son allure sérieuse afin de montrer, même avec une simplet-shirt, une veste ou une chemise , un style unique en respectant sa propre personnalité. Et puis la couture se mélange au casual: les lignes et les coupes valorisent les le corps en façon essentielle, raffinée et authentique.





Le Kilim et la mode, le corps et le temple.




Le Kilim: textures tissés d'histoire et tradition. Pas seulement de l’art, mais aussi un document qui n'est pas écrit, mais c’est à lire à travers une interprétation symbolique des formes qui y sont reproduits. Dans l'histoire du tapis, l’ensemble de ces figures géométriques, étroitement liés à la technique de tissage, a évolué dans des conceptions plus sophistiquées et complexes qui reflètent les traditions des différentes communautés tribales, la religion, les croyances et les superstitions qui les caractérisent. C’est à partir de cette imagerie fascinante qui la poétique de Moonchild Paris attire, née de l’imagination de Pascale Koehl, qui fut styliste de la marque française “April 77” durant sept années. Haute qualité et garantie du respect pour le cadre de vie et le bon traitement des animaux utilisés pour la tonte, comme le juste salaire et la considération des droits des tricoteurs et tisseurs qui travaillent à la main selon leur savoir-faire artisanal. Moonchild offre des collections plus authentiques qu’ethniques, un rencontre entre une culture urbaine et des ateliers artisanaux péruviens, où  tous les modèles sont réalisés à la main en 100% Alpaga.  Une mode qui donc n'est pas trivial, mais le résultat d'un riche apparat iconographique, tissu comme une tapisserie. Le Kilim est beaucoup moins durables que le tapis traditionnel, qui a un manteau qui protège la chaîne et la trame, donc il n'est pas surprenant que peu nous ont été rapportées du passé, mais il a quand même réussi à arriver jusqu'à nous. Le kilim peut être purement décoratif ou peut être utilisé comme un tapis de prière: encore une fois, la mode nous rappelle que notre corps est notre temple.

http://vimeo.com/50162870







La “morte” della ragazza convenzionale: Suicide Girls.



Ragazze con la mania dell’esibizionismo e la tendenza al suicidio? Niente di tutto ciò. Le Suicide Girls, ragazze alternative che non mirano alla morte, come molti erroneamente credono, indicano  nient’altro che il “suicidio” della classica ragazza per bene, per lasciare spazio a quella che definiscono la vera essenza del loro animo: “ What some people think makes us strange or weird or fucked up, we think is what makes us beautiful." Questo é il loro motto, ma la risposta della società quale potrebbe essere? Non sarà semplice, e varierà in base al carattere e alle credenze di chi guarda, ma ciò che é certo éche il fenomeno “Suicide Girls” é ormai ben più che una moda: un vero e proprio movimento che sta toccando anche la nostra penisola.  La “community” venne fondata anni fa dalla fotografa americana "Missy Suicide", che iniziò a fotografare delle ragazze particolari e dichiaratamente alternative senza veli e senza la paura di nascondere segni e imperfezioni fisiche da parte di queste ultime. Il nome é un omaggio manifesto al romanzo preferito di Missy, "Survivor", di Chuck Palahniuk. Uno dei lati positivi e genuini dell’arte portata avanti dalle modelle e dai fotografi Suicide é la negazione del silicone e di qualsiasi altro ritocco, persino quello del sempre presente Photoshop. Possiamo benissimo definirle le anti-conigliette di Playboy, le anti-veline, una via di mezzo tra i personaggi degli anime made in Japan e il punk degli anni settanta. Nell’universo delle Suicide Girls ogni donna é splendida perché diverso e unico modello di femminilità: ogni corpo femminile é capace di osare, di provocare e d'inquietare. Questa é la libertà che é possibile, e per loro necessario, esprimere. Per i "contrari" questo é solo un altro modo per esibirsi, senza nessuna filosofia da portare avanti, ma sappiamo bene che dietro ogni tendenza e ogni minimo interesse si cela sempre un meccanismo misterioso e socialmente affascinante, soprattutto nel caso delle Suicide Girls: é come se queste belle e meno (secondo i canoni estetici predominanti, ovviamente) ragazze, incarnino, più degli altri tipi di bellezza, il "lato oscuro" dell'immaginario maschile, soprattutto quello in cui esistono donne che non chiedono il permesso, che si autoaffermano a tutti i costi e che fanno del loro corpo prima di tutto un tempio per sé stesse, scegliendo il proprio look, e rendendolo il più simile possibile al loro vero “ego” , attraverso piercing e tatuaggi che raccontano un po’ si sé. Sicuramente il risultato sarà uno strumento di lavoro oltre che di piacere, portando tutto ciò all'esterno e mostrandolo al mondo grazie alla dedizione di fotografi e stylist indipendenti. Il loro non allinearsi ai trend, alle mode e ai dogmi della bellezza tipici delle riviste di moda é un chiaro segnale di rifiuto delle norme comportamentali ed estetiche convenzionali.  L’approccio fotografico é ricco di fantasia, la varietà delle modelle incredibile e la libertà di potersi autorappresentare al di fuori dagli schemi é unica e simbolica:  Suicide Girls non significa soltanto essere  tatuate o piene di piercing, ma anche costruirsi uno stile di vita che corrisponda a profonde esigenze di indipendenza personale, senza mai rinnegare la propria femminilità. Questo é il mondo delle Suicide Girls, una dimensione di cui si parlerà ancora per molto tempo e che vale la pena di visitare con curiosità.




Le tendenze haute couture: Paris Fashion Week.


Come ogni anno, nella capitale di Francia nonché una delle capitali della moda mondiale, si è tenuta una delle settimane più scottanti del fashion system annuale, che ha visto sfilate varie e luccicanti sparse un po’ per tutta Parigi. Iniziamo da un must dell’eccellenza francese, Louis Vuitton:  quest'anno la sfilata faraonica di Louis Vuitton porta il pubblico dentro un centro commerciale immaginario, frutto della scenografia dell’artista francese Daniel Burden, che ha portato sulla passerella i vari gruppi di modelle per insieme di colore, in cui dappertutto risuona l’eco inconfondibile della fantasia a scacchi della celebre maison. Gli abiti sono come delle colonne verticali, e le geometrie sono definite da colori neutri come il bianco e il nero e da altri più vivaci e anni ’60 come il giallo e il verde. La sottolineatura del grafismo e delle linee dritte si notano anche nelle scarpe e nelle borse: le prime presentano tutte mezzi tacchi, per dare un’aria “inquadrata” e poco frivola, e le seconde non sono altro che rigorosi bauletti rettangolari. Chanel, dal canto suo, non esprime per niente tutta questa “austerità” e si lascia andare alla leggerezza e alle forme un po’ aerodinamiche, come la nuova borsa-provocazione a forma di hula-hop. Karl Lagerfield ci sorprende ancora una volta attraverso una scenografia faraonica che ha come tema portante le energie alternative: la passerella, infatti, è una lunghissima serie di pannelli solari da cui si ergono gigantesche pale eoliche, per riprendere appunto quel’idea aerea espressa fin dall’inizio, ma non solo: è un messaggio importante quello manifestato dalla maison della doppia C, che pone l'accento sull'aumento delle temperature terrestri e sulla necessità di investire in fonti diverse da carbone e petrolio. Gareth Pugh propone invece una sfilata degna del proprio stile unico e inimitabile: le silhouettes diventano figure femminili dall’allure dark e futuristica, per certi versi un po’ inquietante ma dal fascino che rapisce, con influenze stilistiche e geometriche che vanno dall’800 allo stile orientale. Givenchy ci incanta attraverso la semplicità di un susseguirsi di pezzi minimal estremamente eleganti e dal taglio irregolare e sbilanciato, per smorzare un po’ l’aria fin troppo seriosa delle tinte unite nere, azzurrine e bianche (e anche delle modelle): il tutto è incorniciato da dettagli in voile, estremamente femminili e che rendono l’architettura degli abiti un po’ un’evocazione moderna di un misto tra ali ed onde. Come chiudere un bellezza se non parlando di un'altra colonna portante come Yves Saint Laurent? La maison ha creato qualcosa di unico e irripetibile: le modelle portano in passerella dei cappelli voluminosi e misteriosi, ben in linea con gli abiti altrettanto imponenti, una via di mezzo tra il classico abito da sera e le minigonne casual, tra una rivisitazione del taglio imperiale e la classica tenuta à la garçonne, in cui fa da protagonista un tripudio di diversi tessuti, tutto all’insegna del total black senza tempo.






“L’impressionismo e la moda”, il Musée d’Orsay accoglie la Paris Fashion Week.



Il famoso museo parigino Musée d’Orsay, il 25 Settembre ha accolto a suo modo l'arrivo della settimana della moda nella capitale con la mostra “L’Impressionisme et la mode”. Un'esposizione pubblica, frutto della fusione tra capolavori impressionisti e abiti d'epoca: gli impressionisti hanno sempre favorito la rappresentazione della figura umana integrata nel proprio ambiente quotidiano, tenendo conto della vita contemporanea in cui si destreggiava l’uomo “moderno”, nelle sue attività abituali in città come in campagna. Hanno sempre fissato nell’attimo sfuggente una considerazione di metodi e atteggiamenti del loro tempo, una loro “impressione” visuale, creando quella che Baudelaire definisce "metamorfosi quotidiana delle cose esterne". Perciò la mostra,realizzata col supporto delle grandi maison Louis Vuitton e Christian Dior, propone una cinquantina di abiti e accessori, tra cui dieci cappelli, presentando una panoramica della moda femminile al tempo degli impressionisti. L’abbigliamento maschile, meno vario e più uniforme, viene evocato attraverso una ventina di pezzi, ma comunque tutti esemplari di prodotti tessili provenienti da collezioni pubbliche e private di tutta la Francia. E, infine, un display documentario riunisce disegni, figurini e riviste di moda, tra cui “La dernière Mode”, una breve recensione a cura di Mallarmé, e le fotografie dallo studio Disdéri. La mostra ci offre un po 'della sostanza e della solidità della pittura impressionista, in cui gli abiti e le figure sono trasfigurati dalla magia di luci e ombre che, sia in movimento che in stato di quiete, si fondono con l’ambiente circostante creando un tuttuno dinamico. La realtà descrittiva dell’uomo e della donna tra il 1860 e il 1880 e del loro aspetto quotidiano ha subito una metamorfosi innegabile a causa del susseguirsi rapido dei diversi e approcci estetici: d’altra parte, grazie alla rapidità di esecuzione, i gesti e giochi di tessuto danno autenticità a qualsiasi “impressione” esterna. Manet, Monet, Renoir, Degas e Caillebotte: alcuni di loro non hanno lavorato a Parigi per molti anni,ma nonostante ciò hanno sempre portato con sé, attraverso le proprie opere, l’allure e lo stile di vita della ville lumière, regalandoci un’istantanea sociale espressiva e sempre nuova. Le prossime “exhibitions” avranno luogo al Metropolitan Museum of Art di New York, dal 19 Febbraio al 27 Maggio 2013, e a Chicago presso “The Art Institute”, dal 29 Giugno al 22 Settembre 2013.

L’esposizione:
https://www.facebook.com/media/set/?set=a.497974063546283.121316.170924542917905&type=1








mercoledì 12 settembre 2012

Bukowski mania: stile di ordinario citazionismo.



Stile esagerato e sboccato, spesso violento : Kerouak, Burroughs, Welsh, Tusset, ma soprattutto il celebre Charles Bukowski. C’è chi lo accosta alla tradizione della beat generation, ma probabilmente, dato il contenuto dei suoi racconti e delle sue poesie e lo stile che calza tutto ciò a pennello, potremmo definirlo un vero e proprio scrittore “pulp”. Grazie alle opere dei "cannibali" in Italia e al successo del film Pulp Fiction, la notorietà del "pulp" indusse il comico Bebo Storti a creare il personaggio dello scrittore pulp Thomas Prostata, protagonista di alcuni sketches del programma televisivo Mai dire gol. Il suo tormentone era la battuta "Pulp, molto pulp... pure troppo!". Vi sono anche scrittori non italiani che presentano uno stile molto simile, come ad esempio Chuck Palahniuk , uno dei maggiori esponenti dello stile pulp contemporaneo:  nel 1996 pubblica infatti il famoso Fight Club, che presenta già alcune somiglianze con il movimento letterario italiano e che diventa ancora più simile in romanzi successivi, stile che non perde neppure nelle sue ultime pubblicazioni, come per esempio Gang bang. Ma torniamo al grande Bukowski : in Italia conosce il successo nel 1978, sulla scia dei trionfi letterari francesi e tedeschi e, da non credere, in America é ancora un perfetto sconosciuto. Che fosse un insuccesso dovuto alla sua autenticità? E' lui che distrugge ogni forma di patriottismo negli Stati Uniti, è lui che vivendo in quella stessa società può raccontare la truffa dell’ “American dream”. Nel libro "Post Office" racconta dei suoi anni di alienazione presso un ufficio postale, descrivendo una società in cui il posto di lavoro non è mai sicuro, in cui si può lavorare per dodici anni presso la stessa azienda senza mai essere assunti dalla stessa, cosa che va ancora di moda oggi. Gli americani, con tutta probabilità, non gli perdonarono di essere americano, così come non perdonano il fatto che gli europei apprezzino uno scrittore che distrugge la società americana. Ma in Europa troviamo uno scenario completamente diverso: esplode una sorta di Bukowski mania, soprattutto a dieci anni dopo la sua morte. In Italia viene portato Bukowski a teatro con l'attore Alessandro Haber, dove viene narrata la sua accoglienza e il suo viaggio in Europa nel libro autobiografico "Shakespeare non l'ha mai fatto", il cui titolo è probabilmente una sua allucinazione alcolica, dove si descrive anche lo scandalo avvenuto alla televisione francese quando fu allontanato o malamente scacciato come un qualunque ubriacone molesto. Ma cos’è che rende Charles Bukowski così amato dalle nuove generazioni di perpetui citazionisti e/o  veri amanti della letteratura? Il vero successo di Bukowski sta nell'essere sempre stato Charles Bukowski e, successo o meno, ciò che più è importante è, aldilà di quello che ha scritto, ciò che poteva e può significare. Rispetto alla tradizione letteraria americana si sente che Bukowski realizza uno scarto, ed è uno scarto significativo: in una scrittura molto ripetitiva e sostanzialmente prevedibile, Bukowski fa irruzione con qualcosa di completamente nuovo, se stesso incarnato in uno stile. La Bukowski mania probabilmente, e purtroppo, è più una questione di apprezzamento vuoto di stile che di profonda empatia con il lettore. Ma d’altronde, lo stesso Bukowski afferma: “ Lo stile è una risposta a tutto. Un nuovo modo di affrontare un giorno noioso o pericoloso fare una cosa noiosa con stile è meglio che fare una cosa pericolosa senza stile. fare una cosa pericolosa con stile è ciò che io chiamo arte. Boxare può essere arte. Amare può essere arte. Aprire una scatola di sardine può essere arte. Non molti hanno stile. Non molti possono mantenere lo stile. Ho visto cani con più stile degli uomini, Sebbene non molti cani abbiano stile. I gatti ne hanno in abbondanza.”

mercoledì 8 agosto 2012

The butterfly effect


Trucco moda "The butterfly effect"
MUA: Cinzia Avellino
Photo: Essia Sahli
Model: Gessica Cristiani

L'intimo femminile, una "scoperta" rivoluzionaria.



E’ di qualche tempo fa una delle scoperte che potrebbe rivoluzionare la storia della moda: un reggiseno assolutamente simile a quello dei giorni nostri, con tanto di coppe, risalente al XV secolo.  La rivelazione  arriva da un castello del Tirolo, dove sono stati ritrovati quattro reggiseni usati fra il 1440 e il 1485. I più antichi della storia della moda, che a questo punto "andrà riscritta", dice l'archeologa Beatrix Nutz, responsabile della ricerca sui tessuti. Il ritrovamento è datato in realtà nel 2008, quando un team archeologico dell'università di Innsbruck, durante i lavori di ristrutturazione di un castello nel Tirolo dell'est, ha individuato una piccola discarica medioevale in una cavità del palazzo. Ciò che ha stupito immediatamente è stata certamente la forma della coppa, dato che prima di questa scoperta, infatti, la nascita del reggiseno è sempre stata datata nell'Ottocento. La storia della moda diceva finora che le donne, prima dell'Ottocento, indossassero solo una sottoveste di lino, mentre, nell'antichità, le donne greche avrebbero utilizzato delle fasce di stoffa. Le coppe, insomma, sono sempre state ritenute un'invenzione moderna. Ma l’intimo vero e proprio quando è nato? La nascita dell'abbigliamento intimo si fa risalire all'antico Egitto, quando la nobiltà femminile inizia ad indossare delle tuniche a diretto contatto con la pelle. Queste divengono camicie, per venire poi indossate anche dalle donne greche: non sono altro che delle vesti di lino che arrivano fino ai piedi. Nei primi capi di abbigliamento intimo della storia, si nota la principale funzione che ebbero nel corso dei secoli: nascondere, comprimere ed appiattire le forme. Per la loro natura gli indumenti intimi hanno sempre rappresentato nella storia qualcosa da celare e da non nominare e per questo furono relegati per tanti anni alla sola sfera privata. La biancheria nel senso moderno del termine, si pensava fosse ancora sconosciuta nel Medioevo, cioè che fosse esclusivamente una tendenza presso le famiglie nobili di indossare capi più fini sotto gli abiti, per separarli dal diretto contatto con la pelle: perciò la scoperta nel castello del Tirolo appare così sensazionale. La storia della biancheria intima è parallela a quella dell’emancipazione femminile, segna il passaggio dalla condizione sociale di costrizione a quella di libertà, dai corsetti con le stecche di balena, che sottileavano la schiavitù, l'impaccio e la difficoltà di movimento, ai più succinti tanga di oggi. Perciò il secolo scorso è stato così rivoluzionario, un secolo che ha visto numerosi stravolgimenti nel mondo dell'intimo donna, dovuti anche all'industrializzazione e alla scoperta di nuovi materiali.


lunedì 23 luglio 2012

Bisessualità: androginia platonica o tendenza confusa?




Oggi nella rete, come nella realtà, essere bisessuale per una donna sembra davvero essere il passepartout per conquistare un uomo e non solo. E’ una tendenza effettiva o una moda vera e propria? Che due donne assieme siano la fantasia di ogni  uomo eterosessuale non è cosa nuova, come non è nuovo il desiderio delle donne di sperimentare la propria sessualità, molto più fluida di quella maschile. Quello che però viene da chiedersi è: per chi bisessuale lo è davvero, ovvero per quelle persone davvero libere che si innamorano di entrambi i sessi, quella che viene professata esclusivamente come moda, non diventa forse dannosa? O siamo tutti vittime dello stesso contesto sociale e la bisessualità è solo il costume di questi anni? Sicuramente l'incertezza diffusa, l'insicurezza cosmica che ci circonda in ogni ambito della nostra vita, alimenta la paura dei legami solidi, la diffidenza nei confronti dell'amore e dei sentimenti puri, alimentando la necessità di vie di fuga, di cui la bisessualità potrebbe risultare una delle tante. E' anche vero che oggi siamo nell'epoca delle morali labili, del compromesso, delle mezze verità, e quindi professarsi lesbiche non paga più, perché lega le donne ad un immaginario femminista obsoleto, che le porta a rifugiarsi in etichette meno rigide. Questo non fa altro che aumentare il caos nei rapporti con se stessi e con gli altri. Ma questo potrebbe essere tutt’altro che negativo. Ognuno di noi è cresciuto con l’ideale della coppia etero, in cui la donna da importanza all’uomo e viceversa: chi è che invece da importanza alla “persona”? In ognuno di noi convivono parti maschili e parti femminili. Ciascun sesso porta in sè tratti dell' altro sesso. "All' inizio della vita si può parlare di una vera e propria androginia", conferma Claudio Risè, psicanalista e scrittore. "Nella fase embrionale, infatti, sono presenti da un punto di vista biologico sia le strutture di base maschili che quelle femminili. Nel corso della gestazione si verifica una regressione dei tratti di uno dei due sessi, per arrivare poi alla definizione dell' identità sessuale". Ecco perchè non è poi così sconvolgente manifestare tendenze bisessuali nell' età adulta, anche se, nella maggioranza dei casi, si tende a tenerlo nascosto. L' omosessualità è una condizione ormai accettata praticamente da tutti, mentre il bisessuale è ancora visto da alcuni come qualcosa di perverso e sbagliato. In realtà in tal senso vi sono dei risultati che parlano chiaro: secondo l' ultimo sondaggio dell' Asper (Associazione per lo studio dell' analisi psichica e la ricerca sessuologica) sui comportamenti sessuali degli italiani, il 14,6 per cento degli uomini e il 12,1 per cento delle donne tra i 18 e i 50 anni si definiscono bisessuali. Un fenomeno in aumento, e non solo. Il 34% è convinto che la naturale tendenza degli esseri umani è la bisessualità, e che poi è la società che impone ingiustamente di fare una scelta, come per voler placare l’androgino che costituisce ognuno di noi: un po’ come nel Simposio di Platone, in cui Aristofane, nel dialogo, narra di un terzo genere, non figlio del Sole come gli uomini, non figlio della Terra come le donne, ma figlio della Luna, che della natura di entrambi partecipa. Il mito racconta che la completezza autosufficiente rese gli umani androgini così arroganti da immaginare di dare la scalata all'Olimpo, e Zeus fu costretto dunque a separare ciascuno di loro in due metà, riducendoli a solo maschio e solo femmina. Quella che viene definita "l'umana nostalgia dell'interezza", mai placata, è la radice e in qualche modo la costrizione all'amore, oppure “alla brama e all'inseguimento dell'interezza, ebbene, tocca il nome di bisessualità”? C’è da dire che anche tra le star di tutto il mondo la tendenza bisex esercita una grande influenza: Kylie Minogue ha rivelato, ad esempio, di essere affascinata e attratta da certe donne, con cui flirta naturalmente. Sono parole che non stupiscono affatto, visto che la pop star australiana è una delle tante donne dello spettacolo che si è cimentata in dichiarazioni di questo genere, basti pensare a Madonna e alla sua performance con Britney Spears e Christina Aguilera agli Mtv Awards, alle affermazioni di MeganFox, e addirittura alla lunga relazione tra Lidsay Lohan e la dj Samantha Ronson. Bisex è bello e fa tendenza, ma è necessario tener conto che alcuni, oltre alla curiosità del momento, passano una vita intera a innamorarsi di una personalità, di un carattere, di una persona.


Il Barocco Contemporaneo di Abed Mahfouz sfila ad “AltaRoma AltaModa”.


Martedì 10 Luglio, quinta giornata della manifestazione di moda “AltaRoma AltaModa”. La passerella della Sala Lancisi, all’interno del complesso monumentale di Santo Spirito in Sassia, si trasforma improvvisamente in un ponte, spaziale e temporale, che va dall’Oriente all’Occidente, dal Barocco all’età contemporanea: è la collezione Couture Autunno-Inverno firmata Abed Mahfouz, grande nome nell’alta moda internazionale. Lo stilista libanese, per l’appunto, ha presentato una collezione intitolata “Contemporary Baroque”, in cui l’opulenza e la ricercatezza di altri tempi si fondono alle texture innovative fatte di pietre, cristalli e paillettes, creando un effetto unico e persino dinamico, attraverso i movimenti morbidi dei dettagli in piume di struzzo, tulle e pizzo. Gli abiti da sera sembrano danzare, dando vita a una figura femminile che quasi fluttua, enigmatica e sofisticata: la donna è vestita di un’aura principesca ed elegante, ma allo stesso tempo eterea e innaturale, un po’ come una sirena dai toni cangianti. La palette della collezione s’ispira ai colori naturali e della terra, dal beige chiaro al fango, dal viola ghiaccio al frosty green, il tutto incorniciato dai ricorrenti fiori di organza tagliati al laser e applicati casualmente, che danno un effetto leggero e passeggero, un po’ come delle nuvole. Le stampe barocche, i disegni dallo stile ricco di dettagli sorprendenti, sono stati ripresi dalle tappezzerie di castelli e palazzi d'epoca, e poi riportati con pietre e swarovski ricamati sugli abiti, tono su tono. Gli accessori e i dettagli, invece, sono stati studiati per accentuare al massimo le forme femminili e disegnare il punto vita: cinture sottili e strette e fianchi imbottiti, proprio come nel '600. E, per chiudere in bellezza, un fantastico abito da sposa off-white arricchito di cristalli, per una donna sinuosa ma dall’allure esuberante.

mercoledì 20 giugno 2012

Impossible conversations: Elsa Schiaparelli e Miuccia Prada oltre i passaggi epocali.



La “Grande mela” ha inaugurato il 10 Maggio la mostra “Schiaparelli and Prada: Impossible Conversations”, uno degli eventi più attesi dell’anno: una ricerca di affinità tra due grandi stiliste di epoche diverse, nonchè occasione per ribadire l'importanza del made in Italy a livello internazionale. La kermesse ha luogo in un tempio dell'arte contemporanea mondiale, il MET di New York,  e vuole creare una sorta di parallelo tra Elsa Schiaparelli e Miuccia Prada. Ispirata alle "Interviste impossibili" di Vanity Fair degli anni ‘30, la mostra presenta un dialogo immaginario tra due donne iconiche per suggerire nuove letture del loro lavoro innovativo attraverso i loro diversi approcci creativi. E’ come servirsi di una macchina del tempo per andare oltre passaggi epocali di modi, usi e costumi che le hanno viste tanto simili quanto agli antipodi, ma entrambe protagoniste. Circa 100 disegni e 40 accessori di Elsa Schiaparelli (1890-1973), dalla fine del 1920 ai primi anni ’50 ,si mescolano con quelli di Miuccia Prada dalla fine degli anni ’80 ad oggi. Due tempi diversi, due donne diverse, ma un solo pensiero, perchè più che di moda, la mostra parlerà di un certo modo di vedere, e di conseguenza poi vestire, il mondo. Mettendo da parte il titolo stesso della mostra, la conversazione tra le due più grandi stiliste italiane di sempre è più che possibile: entrambe sono intellettuali, vedono la moda come esercizio cerebrale, strumento per indagare il gusto in modo anticonvenzionale e mai banale. Un abito nasce dall'estro mentale di uno stilista “demiurgo”, ma con queste due donne il discorso è diverso: il risultato ha superato l'estetica diventando manifesto, criterio di lettura o addirittura anticipazione di tempi.  Elsa Schiaparelli, l'artista: trascinò il Surrealismo tra le pieghe dei vestiti. Dalì e Cocteau disegnarono per lei, ma Elsa fece di più, offrendo alle donne l'idea di un'emancipazione fatta ad abito, dando il via al ritmo stagionale delle collezioni, un po’ in competizione con il mito Coco Chanel. Miuccia Prada, la modaiola: la signora del Made in Italy è famosa per la sua abitudine di cambiare idea ogni cinque minuti, e così fa anche con i vestiti e le sue collezioni. Finti errori diventano ossessioni fashion:  un “disturbo” che sottintende l'estetica in equilibrio tra rottura e classicismo e con essi porta avanti un discorso, che noi volgarmente chiamiamo moda. I lavori esposti provengono tutti dalla raccolta del Costume Institute, dall’archivio di Prada e da altre collezioni private.  La mostra sarà aperta al pubblico a partire dal 10 maggio, fino al 19 agosto:  è un vero e proprio percorso artistico e culturale che riesce ad esprimere la femminilità e la modernità dagli anni '20 fino ad oggi.

martedì 22 maggio 2012

Hip Hop, quando la passione si intreccia con la vita.



Danza Hip Hop: Popping, Locking, B-boying o Breaking, ma sempre e comunque un’arte che nasce e si sviluppa nell’ambiente urbano, e non in Accademia. Oggi per Hip Hop si intende una disciplina di ballo, recentemente considerata anche come "danza sportiva" dalla IDSF (International Dance Sport Federation), che proviene o aderisce ai principi culturali ed estetici del movimento Hip Hop. B-boying (Breakdance), Locking, Popping e Uprock sono le originali danze "di strada" (street dance), ma  la principale danza Hip hop è considerata il B-boying, poiché nata assieme alle altre discipline fondamentali del Dj'ing, del Writing, e dell’ Mc'ing. Negli ultimi anni si sono sviluppati nuovi stili di danza come il New style, il Krumping e l'House , ma non sono accettate da tutti come danze hip hop, poiché sviluppatisi in contesti culturali molto differenti da quelli originali. L’hip hop ha infatti molte radici differenti: la musica, il ritmo e lo spirito sono derivazioni dei tamburi africani, e la danza proviene dalle tribù africane, dal Kung Fu cinese, dalla Capoeira brasiliana e da innumerevoli altre influenze. Tutti questi stili differenti arrivarono insieme, sia nella East coast che nella West coast, a formare tutti quegli stili dell’hip hop che noi oggi conosciamo. Molte scuole di ballo offrono l'opportunità di imparare le danze hip hop, ma solitamente si tratta di breakdance o combinazione di elementi di varie danze, poiché costituiscono un genere molto vasto, e l'insegnante ha quindi  la possibilità di dare una propria interpretazione personale alle lezioni, mescolando i generi e creando stili e contaminazioni sempre diverse, per poi proporre il proprio personale lavoro in contest e concorsi vari. In Italia, come all’estero, si stanno sviluppando diverse possibilità in tal senso, e ne è un esempio il grande evento sbarcato a Roma Sabato 12 Maggio al Teatro Italia: il World Hip Hop Dance Championship, la competizione di street dance prodotta dai creatori del celebre talent show “Randy Jackson presents AMERICA'S BEST DANCE CREW”, in onda su MTV. Il contest è stato suddiviso in due fasi, una dedicata ai giovanissimi della categoria Junior (riservata agli street dancer di età compresa tra 7 e 12 anni) e alle Crew esordienti della categoria Megacrew (riservata a gruppi senza limiti di età compresi tra 12 e 40 elementi), l’altra dedicata alle promettenti Crew della categoria Varsity (dedicata agli street dancer di età compresa tra 13 e 17 anni) e alle super Crew della categoria Adult (riservata agli street dancer over 18). I giovani street dancers si sono affrontati a colpi di bounce, beat e waves nel tentativo di convincere i 7 componenti della giuria e qualificarsi per la finale mondiale in programma alla Orleans Arena di Las Vegas (1-5 Agosto 2012), dove approderanno le Crew vincitrici delle qualificazioni ospitate in oltre quaranta paesi. Lo spettacolo ovviamente è stato avvincente, acceso da una grandissima competizione tra i più talentuosi danzatori italiani: tutti ingredienti di una ricca serata che inoltre ha visto la partecipazione, in qualità di giudici, di alcuni dei più importanti esponenti della street dance italiana, come Betty Style (protagonista del film Street Dance 2), Laccio (leader dei Modulo Project, attuale corpo di ballo della trasmissione “The Show Must Go Off”), Kris e Sponly Love (già noti al grande pubblico come insegnanti hip hop del talent Amici), Fritz, leader della scena underground italiana e Meg, prima giudice italiana internazionale del World Hip Hop dance Championship. Tutto ciò nella cornice di una presentazione impeccabile e di stile, quella di Rido, voce della celebre competizione di breakdance Battle of the Year. Vari gruppi di danza rivendicano di fare hip hop, ma quello che non capiscono in molti, anche nel pubblico appassionato, è il significato profondo del nome, che rappresenta l’origine e li nucleo propulsivo della passione e del coinvolgimento di chi dedica tutto se stesso a questa disciplina. Al giorno d’oggi tutte le palestre offrono classi di hip hop, ma i veri ballerini di hip hop ballano come danzatori/insegnanti hip hop in palestra? Esiste un vero stile hip hop, autentico. Se sei un vero ballerino di hip hop lo sai. Lo mangi, lo respiri, lo vivi. Ciascun ballerino di hip hop deve conoscere la storia e l’origine dell’hip hop ed i personaggi storici che ci sono dietro in modo da poter diffondere queste informazioni alle prossime generazioni. Questo è l’unico modo per mantenere viva la cultura di questa danza, senza mai radicalizzare la tradizione, ma solo per prenderne coscienza e creare innovazioni sempre in gioco.

mercoledì 16 maggio 2012

Fashion save the queen: lo stile londinese dalle passerelle alla metro.


Chi non rinuncia a capi ecologisti e chi opta per le fantasie esagerate, chi osa e chi gioca sulle rivisitazioni del guardaroba maschile: ecco i look proposti al popolo della moda che ha seguito le sfilate della London Fashion Week. Vivienne Westwood, come al solito, imprime la sua zampata ineguagliabile alla Settimana della Moda di Londra, rivestendo la nuova collezione di un perfetto stile post punk, un classico sempre rinnovabile. La stilista britannica ha portato sulle passerelle londinesi una collezione intrisa di grande eclettismo e dalla forte influenza rock, rivisitando grandi classici in chiave asimmetrica e ultra contemporanea: il risultato è una linea ferocemente femminile, originale e mai scontata. La collezione ha un nome che riecheggia un po’ il famoso album dei Sex Pistols, i cui legami con la Westwood sono “storici”: Fashion save the Queen (nel senso della regina Elisabetta II d'Inghilterra). Questo nome, afferma la Westwood, rappresenta un tributo a Londra nell’anno delle Olimpiadi e del Giubileo della Regina, realizzata attraverso una curiosa messa in scena di racconti di corte e di strada: uno sguardo agli eroi del passato che sembravano incredibili nei loro abiti. Artisti, intellettuali, scienziati, gente colta: un’ ispirazione tratta dal passato e catturata nelle sue creazioni. Il XVII secolo, ad esempio, è stato un'epoca di avventurieri e di personalità intraprendenti, il momento in cui i britannici hanno forgiato la propria identità nazionale non solo a livello politico ma anche commerciale. Insomma, la regina del punk continua senza esitazioni a dar vita a un’arte sempre e comunque fuori dagli schemi. Tra un omaggio al cappottino rosa di Elisabetta, che diventa una grande vestaglia di raso rosa, e un occhiolino alle punte punk, molti sono i riferimenti proprio al suo World's End, il suo primo negozio di Londra dove l'orologio dell'insegna continua ancora oggi a girare al contrario: é da questi mix che nascono i tagli strappati e i corsetti sei e settecenteschi strutturati, ricamati con perle, pietre e croci di rubino. La stessa inclinazione rock con una “vena malinconica” verso il passato,  tipica del London Style ,viene ripresa da Sara Burton. La designer si occupa del brand di Alexander McQueen da quando lo stilista è scomparso quasi 2 anni fa, e lo fa seguendo l’ispirazione visionaria del fondatore, avendone conosciuto da vicino il genio creativo durante i 16 anni passati a lavorare al suo fianco. La nuova collezione Primavera Estate 2012 parla ancora la stessa lingua di McQueen e ne rispetta il gusto e le tradizioni stilistiche, ma porta già i primi segni del gusto sofisticato e femminile di Sara. Volumi volutamente esagerati, pizzi, ricami, contrasti e accostamenti che uniscono dettagli fetish ad abiti in pizzo, trasparenze seducenti e particolari sorprendenti. Comune denominatore di quasi tutti i look proposti è l’ intenzione di segnare il punto vita e valorizzare le forme femminili. Punto di forza, tra gli accessori, sono proprio i bustini, soprattutto quello con le stecche, da portare rigorosamente a contrasto con il romanticismo di pizzo. Ma nelle “passerelle urbane” di Londra, cosa si nota in fatto di stile? Londra è una delle città più cosmopolite al mondo, se non forse la più cosmopolita. Può sembrare una frase fatta, ma ogni persona ha un suo stile di vita, un suo modo di parlare l'inglese ed una sua concezione di moda. La prima cosa che salta all'occhio è che a Londra, al contrario dell'Italia, non si da assolutamente importanza alla griffe in mostra. Solo le ragazze che hanno una vita agiata sfoggiano accessori Louis Vuitton, Gucci, Fendi, etc. Tutti gli altri all'inizio appaiono come anonimi: capi monocolor che seguono la stagione sono abbinati però con eleganza e a volte con eccentricità ricercata, perchè nella capitale britannica si può essere come si vuole. Non essendoci un vero e proprio filo comune tra il modo di vestire di ragazze e ragazzi, ognuno è libero di interpretare lo stile individuale ed il suo senso di appartenenza come preferisce. Se volessimo definire uno stile comune è il casual a farne da padrone: ci sono varie catene di negozi di abbigliamento che puntano tutta la loro linea sul casual ed è qui che la maggior parte dei ragazzi/e londinesi acquista i propri capi. Tutto passa inosservato: le persone sono puntini che camminano frenetici, e alla fine della giornata altro non sono che tanti numeri che andranno nelle statistiche di “Transports for London”, relative all’affluenza media in ogni fermata della metropolitana. E’ per questo che tacchi spropositati, creste da punk, vestiti iper-stretch e cani nelle pochette sono tutti “accessori” estremamente comuni per un londinese; ma sono invece ragione di estrema curiosità per i nostri concittadini in vacanza, i quali fanno fatica a non sottolineare - ad alta voce - i passanti per strada, o a non emulare questi ultimi, acquistando occhiali e accessori estremamente sopra le righe da sfoggiare con vanto durante il weekend, o da immortalare nelle foto da mostrare agli amici.