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mercoledì 20 giugno 2012

Impossible conversations: Elsa Schiaparelli e Miuccia Prada oltre i passaggi epocali.



La “Grande mela” ha inaugurato il 10 Maggio la mostra “Schiaparelli and Prada: Impossible Conversations”, uno degli eventi più attesi dell’anno: una ricerca di affinità tra due grandi stiliste di epoche diverse, nonchè occasione per ribadire l'importanza del made in Italy a livello internazionale. La kermesse ha luogo in un tempio dell'arte contemporanea mondiale, il MET di New York,  e vuole creare una sorta di parallelo tra Elsa Schiaparelli e Miuccia Prada. Ispirata alle "Interviste impossibili" di Vanity Fair degli anni ‘30, la mostra presenta un dialogo immaginario tra due donne iconiche per suggerire nuove letture del loro lavoro innovativo attraverso i loro diversi approcci creativi. E’ come servirsi di una macchina del tempo per andare oltre passaggi epocali di modi, usi e costumi che le hanno viste tanto simili quanto agli antipodi, ma entrambe protagoniste. Circa 100 disegni e 40 accessori di Elsa Schiaparelli (1890-1973), dalla fine del 1920 ai primi anni ’50 ,si mescolano con quelli di Miuccia Prada dalla fine degli anni ’80 ad oggi. Due tempi diversi, due donne diverse, ma un solo pensiero, perchè più che di moda, la mostra parlerà di un certo modo di vedere, e di conseguenza poi vestire, il mondo. Mettendo da parte il titolo stesso della mostra, la conversazione tra le due più grandi stiliste italiane di sempre è più che possibile: entrambe sono intellettuali, vedono la moda come esercizio cerebrale, strumento per indagare il gusto in modo anticonvenzionale e mai banale. Un abito nasce dall'estro mentale di uno stilista “demiurgo”, ma con queste due donne il discorso è diverso: il risultato ha superato l'estetica diventando manifesto, criterio di lettura o addirittura anticipazione di tempi.  Elsa Schiaparelli, l'artista: trascinò il Surrealismo tra le pieghe dei vestiti. Dalì e Cocteau disegnarono per lei, ma Elsa fece di più, offrendo alle donne l'idea di un'emancipazione fatta ad abito, dando il via al ritmo stagionale delle collezioni, un po’ in competizione con il mito Coco Chanel. Miuccia Prada, la modaiola: la signora del Made in Italy è famosa per la sua abitudine di cambiare idea ogni cinque minuti, e così fa anche con i vestiti e le sue collezioni. Finti errori diventano ossessioni fashion:  un “disturbo” che sottintende l'estetica in equilibrio tra rottura e classicismo e con essi porta avanti un discorso, che noi volgarmente chiamiamo moda. I lavori esposti provengono tutti dalla raccolta del Costume Institute, dall’archivio di Prada e da altre collezioni private.  La mostra sarà aperta al pubblico a partire dal 10 maggio, fino al 19 agosto:  è un vero e proprio percorso artistico e culturale che riesce ad esprimere la femminilità e la modernità dagli anni '20 fino ad oggi.

lunedì 2 aprile 2012

“Dalì. Un artista, un genio”. Il maestro visionario torna nella Capitale dopo 60 anni.


“Se giochi a fare un po’ il genio, poi lo diventi” disse un tempo Salvador Dalì. Un motto affermato e incarnato nella sua stessa figura: un artista nel vero senso della parola, amante e fautore di ogni forma estetica, capace di andare ben oltre quest’ultima e rappresentarne un contenuto senza limiti e senza regole imposte dalla pura razionalità. E’ proprio questo che fa insegnamento alla mostra allestita al Vittoriano, “Salvador Dalì. Un artista, un genio”. Sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica Italiana, dopo quasi sessant’anni dall’ultima retrospettiva, ritorna nella capitale una mostra grandiosa dedicata al celebre maestro catalano, e come afferma la stessa direttrice del “Centro per gli studi daliniani alla Fundaciò Gala-Salvador Dalì”, c’è da sottolineare l’importanza e la rarità di questo evento, che trova collaborazioni tra Spagna e Italia solo in occasione di progetti di una certa rilevanza. La mostra inaugurata nella capitale l’8 Marzo, che si protrarrà al Complesso del Vittoriano fino al 1° Luglio, segue un doppio filo conduttore: da un lato raccontare non solo il Dalì artista, ma anche il Dalì uomo, genio, schizofrenico, quella mente nutrita di un’immaginazione fuori controllo, spietatamente realista nella descrizione di ciò che tuttavia è altamente visionario; dall’altro vuole raccontare la storia “felice” tra Salvador Dalì e l’Italia. L’artista mancava a Roma dal 1954, anno della mostra a Palazzo Pallavicini Rospigliosi, e qui potè finalmente ammirare dal vivo le opere dei Maestri rinascimentali, in particolare Raffaello, con cui tentò di confrontarsi per tutta la vita. Dunque Dalì frequentò a lungo l’Urbe e il nostro Paese, metabolizzandone le suggestioni e ricevendone continui spunti di ideazione e innovazione creativa, lavorando anche a progetti, costumi, scenografie, in collaborazione, fra l’altro, con Luchino Visconti. Da qui è facile dedurre le ascendenze italiane dei dipinti di Dalì, riscontrabili persino nei cartoon elaborati con Walt Disney, in cui le sculture dell’antichità e le atmosfere tipiche di Giorgio de Chirico e Gino Severini fanno da silenzioso protagonista. Genio dalle mille sfaccettature, abile raffiguratore e comunicatore, Dalì ha saputo mutare le umane angosce e le proprie personali manie in una ricerca meravigliosa, quel “meraviglioso” che lo stesso André Breton, teorico del Surrealismo, considerava il fine di ciò che possa essere degno di essere chiamato “arte”. La mostra, attraverso un percorso di ben 103 opere, tra cui olii, disegni e acquerelli, e più di 100 documenti tra filmati, lettere e oggetti, vuole tessere il filo eccentrico e affascinante che fa di Dalì uno degli artisti più famosi e amati della contemporaneità. Ma questa contemporaneità, come accoglie Dalì, frutto di quella stessa contemporaneità che ha risucchiato tutti noi nel vortice nel materialismo? Salvador Dalì ha avuto un successo che si è rivelato essere un’arma a doppio taglio: piace a tutti ma la sua interpretazione viene spesso fuorviata e ridotta a semplice stilismo da apprezzare in quanto tale. L’interpretazione è sempre una fusione di orizzonti, in cui la nostra lettura deve incrociarsi con ciò che ha prodotto l’oggetto, in questo caso l’opera d’arte. Da cosa nasce questa pittura onirica, fatta di slittamenti di senso, accociazioni libere e automatismo fantastico? Attraverso le scoperte freudiane del primo Novecento l’uomo venne messo di fronte alla verità su se stesso: quasi la totalità dei pensieri fluisce sotto il livello della coscienza. Davanti a ciò l’uomo, ma soprattutto l’artista contemporaneo, vede confermato il progressivo svuotamento dei valori occidentali, e vedendo sgretolarsi sotto gli occhi l’identità che la storia gli ha costruito, viene abbandonato ad una condizione di profondo ed “inquietante” estraniamento. La crisi che ha investito il soggetto e il suo senso di fiducia nel mondo, comprese le contraddizioni date da una società meccanizzata in cui gli oggetti prodotti dall’uomo hanno ormai il controllo sull’uomo stesso, ha manifestato tutti i sintomi del disagio interiore di fronte ad uno spaccato storico-sociale fondato su valori borghesi e positivistici, risolvendosi costruttivamente nell’ “espressione”, nella proiezione di esigenze interne pure verso l’esterno: in tal modo l’io si sospende e cede la parola ad una realtà primigenia e astratta. Come avrebbe potuto l’artista, insofferente nei confronti di questo sistema, adottarne i valori? Bisognava dar vita ad un nuovo sistema di idee: Salvador Dalì ne è stato il supremo creatore, produttore di linguaggi diversi e originali, mistici e inconoscibili, cercando di svelarne al mondo l’essenza, a cui l’uomo ordinario il più delle volte non può accedere perché collocato dietro le apparenze.