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domenica 14 agosto 2011

Fashion icon: Lady Gaga, una critica vivente all’impersonalità di massa.


Ipocrisia, omologazione, scarsa o falsa coscienza. Qual’è la cura? Lady Gaga, una critica vivente alla condizione di impersonalità che ormai domina la società di massa. Scrive Seneca il filosofo: “La dimestichezza con la folla è nociva: non c’è chi non riesca a contaminarci senza che ce ne accorgiamo.” Certamente la amatissima e criticatissima Stefani Joanne Angelina Germanotta risulta essere un antidoto perfetto ai giudizi della folla, che sembrano scivolarle addosso come nulla: ogni soggetto sembra convinto di esprimere a pieno la propria libertà comprando una casa in campagna o una bella automobile? Lady Gaga risponde che non importa quanto denaro possiedi o dove sei nato, tutti noi abbiamo la possibilità di costruire una vita ad opera d’arte; e qual è la strada migliore da scegliere se non iniziare ad essere un’opera d’arte vivente? Infatti, nonostante le mille polemiche che la vedono protagonista incessantemente, la star di “Born this way” sembra sia riuscita a far valere il proprio talento non solo nel mondo della musica, comparendo al primo posto nella classifica dei 100 artisti più influenti stilata dal TIME e vincendo otto statuette su tredici nomination tutte per il singolo Bad Romance (Record assoluto per un cantante) durante gli MTV Video Music Awards;  Lady Gaga detta legge anche nel fashion system: lei stessa ha dichiarato di aver sempre avuto una grande passione per la moda, creando addirittura  un vero e proprio team di produzione responsabile della creazione di molti dei suoi vestiti, accessori per il palcoscenico e pettinature. Questo progetto collettivo, denominato "Haus of Gaga", che ricorda un po’ il sincretismo all’avanguardia della “Bauhaus”, crea non solo capi d'abbigliamento, ma anche scenografie e nuovi tipi di suoni, all’insegna della sperimentazione artistica, a cui partecipano stilisti e produttori, dando vita ad un team creativo sul modello della Factory di Andy Warhol. Perciò Lady Gaga non può che essere considerata un’icona della moda. Il suo abbigliamento eccentrico e rivoluzionario è riuscito a convincere anche il Council of Fashion Designers of America, ovvero i guru dello stile negli USA, che l’hanno premiata come “style icon”, imponendosi come modello originale e innovativo. Sfoggiare energia e outfits ad effetto sono il pane quotidiano della regina dell’elettro-pop, che, uniti alla sua musica con influenze urban e blues, rendono le sue performances indimenticabili e di forte impatto. Vera Wang, icona nell’industria della moda, ha espresso il proprio favore nei confronti della cantante: Lady Gaga non si è lasciata trasportare dalle tendenze sfuggevoli del momento, ma ha creato una nuova e impetuosa corrente che solo lei riesce a comandare, non smettendo mai di stupirci. Ma se ci si ferma al look eccentrico, che ha solo l’obiettivo di catturare l’attenzione e allo stesso tempo scandalizzare non potremo capire se tutto ciò fa parte della sua personalità oppure sia solo una serie di imposizioni dettate dai produttori discografici: bisogna riconoscere che la camaleontica popstar  riesce sempre a far sì che ogni sua apparizione, in virtù delle sue scelte, faccia sempre notizia, accompagnata dagli immancabili e numerosi click su YouTube. E’ possibile che tutto ciò sia solo una maschera costruita abilmente per scalare le vette del successo, ma anche se fosse così cosa cambierebbe? Chi ha deciso che lo stile debba rappresentare per forza la nostra identità personale, e non invece aiutarci a costruirne una più prorompente, grintosa, pronta alla concorrenza e senza eguali? Sono due le caratteristiche a cui non dovremmo mai rinunciare in questo mondo che ai giorni d’oggi pare divorarci da un momento all’altro: genialità e messa in gioco di sé.

lunedì 30 maggio 2011

Dark style: odio o amore incondizionato per la vita?

A chi non è mai capitato di notare per strada o sulla metro dei soggetti dall’aria cupa e “vampiresca”? Solitamente portano abiti neri con neanche una nota di colore addosso, a eccezione dei capelli e degli accessori sgargianti: lo stile “dark” o “gothic” è ormai un fenomeno ampiamente diffuso, in Italia quanto nel resto d’Europa ( molti giovani italiani sarebbero disposti a tutto pur di fare shopping nei negozi londinesi di Camden Town! ). Anche l’alta moda della collezione autunno inverno 2010-2011 propone un guardaroba che spegne ogni colore per lasciare spazio al lato oscuro che c’è in noi; certamente richiama l’ eleganza glamour del total black attraverso mini gonne, leggins fetish, lunghi cappotti e pizzi un po’ ovunque. Ma, tornando alla tendenza urbana, c’è chi lo definisce un modo di ribellarsi all’omologazione, c’è chi la considera una moda come tutte le altre e chi lo vede e lo pratica come un modus vivendi. Nell’immaginario comune prevale spesso l’idea, un pò confusa, di gruppi legati al satanismo, alla musica rock e metal, all’odio per la vita e tutti i suoi aspetti gioiosi. E’ davvero così? Oppure la considerazione socialmente strutturata è meramente superficiale? Torniamo un po’ indietro nel tempo: solo così possiamo constatare quanto ciò che sembrerebbe estraneo al nostro carattere mediterraneo, socievole, italiano, sia profondamente legato al nostro sviluppo culturale, a partire dalla nostra stimata letteratura e tradizione artistica. Dall’ Ottocento, in tutta Europa si è diffusa un’atmosfera di tramonto, decadenza. In una società sempre più meccanizzata, il trauma umano di non riconoscersi più in qualcosa che lui stesso ha creato porta a vari effetti: in primo luogo l’artista, il letterato e l’intellettuale diventano delle figure emarginate e perdono la loro “aureola”,  ceduta violentemente a chi produce, consuma, accumula profitto. Come potrebbe l’intellettuale esprimersi liberamente in un clima così poco creativo? Il mondo reale non da ispirazione sufficiente? Bene, allora è il momento di  rivolgersi a un altro mondo, alla sfera più spontanea, originaria e vera che ci sia, quella interiore. Il ritorno all’io da la possibilità di esprimere nella poesia, nell’ arte, nella letteratura, quello che l’uomo aveva ignorato per troppo tempo: se stesso. Si era data priorità a ciò che la società aveva cucito addosso, ma ora è giunto il momento di liberarsi di queste vesti e porsi in maniera diversa nei confronti del mondo, di farsi delle domande sulla propria vita e su tutto ciò che comporta soluzioni di certo poco consolatorie! Si instaura una nuova sensibilità nei confronti della finitudine e di tutte le situazioni limite, come la nascita, la sofferenza, la morte, tutte tematiche affrontate dai giganti della letteratura novecentesca: da Kafka a Camus nel panorama europeo, e in Italia da Ungaretti, nella concezione della vita come “naufragio di speranze”, a Montale, nei limiti esistenziali del suo “meriggiare pallido e assorto”, da Quasimodo a Saba. Il costume “esistenzialistico” , che riflette queste istanze artistiche e culturali, si diffuse ampiamente ed era proprio di alcune avanguardie giovanili, riconoscibili per determinati modi di vestire o di portare i capelli facilmente affiancabili ai “dark” dei giorni nostri. Nonostante le sue forme superficiali e spesso grottesche, questa tendenza ha rappresentato un vero e proprio anello di congiunzione, e soprattutto è valso come protesta contro i conformismi e le false sicurezze. Detto ciò, alcuni modi di vestire sono da considerare come semplici manifestazioni di personalità,  o sono indice di consapevolezza e accettazione della vita anche nel suo lato più buio? E’ questo che spesso mettiamo da parte per pura comodità? Sicuramente c’è chi si adatta alla moda “dark” per accettazione da parte di qualcuno o per costruzione di una maschera, ma non si può pensare a tutti coloro che vivono questa tendenza come soggetti che odiano la vita: probabilmente molti di questi sono coloro che hanno un rapporto più concreto con l’esistenza, che è altrettanto concreta, e la vivono più di tutti nella sua totalità. Ciò che fanno è solo riflettere il loro mondo all’esterno come libera forma di espressione e magari sperando che qualcuno, un giorno, non veda in loro solo le tenebre ma anche uno spiraglio che fa luce su aspetti della vita che riguardano tutti e che spesso dimentichiamo.