TAG ME, ed ecco che l’eccellenza haute gamme fa sentire la propria
voce anche dalla Spagna. Il marchio nasce dall'idea di creare dei capi su
misura esclusivi per donne con individuali esigenze di vestire, tutti i giorni.
Donne con valori e obbiettivi molto chiari, che apprezzano la qualità al giusto
prezzo. Tag me non è quindi una linea di abbigliamento specifico, si tratta più
che altro di un «raggio di azione» che contiene molteplici opzioni e che ispira
e trasmette un’idea personale. I concetti portati avanti sono semplici ma molto
ampi: la vita e l'abbigliamento vanno di pari passo. Gli uomini hanno bisogno
di vestirsi non solo per bisogno di sopravvivenza, ma per essere in grado di
socializzare; anche nelle comunità primitive le vesti permettevano agli individui di differenziarsi l’uno
dall’ altro. Il modo di vestire distingue le società, le tribù, le città, i paesi,
i gruppi etnici. Noi tutti vestiamo in modo particolare, come particolari sono i
nostri gusti, stili di vita, personalità, la famiglia, il lavoro, gli amici. Per
Tag Me quindi, ogni persona, deve essere in grado di far emergere il proprio
ego, le proprie aspirazioni e ambizioni al di sopra delle masse: la proposta
per questa stagione è una sorta di didascalia visiva di questi concetti: il
carattere del brand si manifesta in modo sofisticato e cosmopolita. Il freddo
dell’inverno viene smorzato dal tocco “caldo”
dei polsini esterni e dei risvolti, che sono i veri protagonisti di questa
collezione assieme ai materiali dei componenti interni ed esterni di altà
qualità. Giubbotti, giacche corte e cappotti anni Settanta vanno dai toni del
nero a quelli del castano e del caramello. Lo stile è allo stesso tempo moderno
e chic, inconfondibile nella particolarità delle pelli. Questa nuova collezione
comprende inoltre una giacca prodotta in esclusiva con la collaborazione del
celebre designer Gori de Palma: un capo che trasuda di rock, attraverso diverse
cerniere decorative nella parte anteriore e delle borchie disposte in serie
nelle spalle, una sottolineatura glam della cura del dettaglio e dell’impegno
nella manifattura. Il must della moda rimane sempre lo stesso: esprimere se
stessi senza pronunciare una parola o mostrare un gesto. Ogni donna ha bisogno
di avere un indumento che la faccia sentire a proprio agio in ogni luogo, senza
perdere la propria comodità e praticità, che la vita moderna impone alle nostre
giornate. Un capo su misura che ti faccia sentire unica, perché alla fine della
giornata, ecco cosa sei. Unica.
Per cogliere novità e modi di essere, di diventare…Istinti, evoluzioni e trasformazioni di una società contemporanea sempre più border-line, dove le differenze talvolta vengono cancellate dall’omologazione. Dalle passerelle al costume, dai luoghi ai rapporti interpersonali, per dare un’istantanea sempre nuova del “coprimento” individuale, dall’abito materiale a quello metaforico: le maschere che ognuno di noi indossa, singolarmente e nel proprio ruolo sociale.
domenica 28 ottobre 2012
Tag me: la donna “taggata” nell’istantanea di tendenza.
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Gigolò: L'homme indipendente à la conquête du monde.
Indépendant,
éthéreal, et hors de toute convention. Audacieux, confiant en lui-même, intelligent et irrévérencieux. "Gigolo", Fashion to wear,
est une marque italienne qui gagne du terrain chez l’imaginaire des hommes en
Europe, et pas seulement, mais surtout il est à la conquête de l'homme français,
parisien par excellence. En effet, grâce à son souci du détail, Gigolo propose
un total look pour chaque occasion, et c'est exactement ce que chaque homme
moderne cherche: un équilibre entre la simplicité et l'élégance indispensable, un
veritable éclectisme. Il est vrai aussi qu'à cette époque l’"Urban
wear" ne concerne plus seulement les «mauvais garçons de la rue», mais
surtout l'homme qui veut atténuer son allure sérieuse afin de montrer, même
avec une simplet-shirt, une veste ou une chemise , un style unique en respectant
sa propre personnalité. Et puis la couture se mélange au casual: les lignes et
les coupes valorisent les le corps en façon essentielle, raffinée et authentique.
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Le Kilim et la mode, le corps et le temple.
Le Kilim:
textures tissés d'histoire et tradition. Pas seulement de l’art, mais aussi un
document qui n'est pas écrit, mais c’est à lire à travers une interprétation
symbolique des formes qui y sont reproduits. Dans l'histoire du tapis, l’ensemble de ces figures géométriques,
étroitement liés à la technique de tissage, a évolué dans des conceptions plus
sophistiquées et complexes qui reflètent les traditions des différentes communautés
tribales, la religion, les croyances
et les superstitions qui les
caractérisent. C’est à partir de cette imagerie fascinante qui la poétique
de Moonchild Paris attire, née de l’imagination de Pascale Koehl, qui fut
styliste de la marque française “April 77” durant sept années. Haute
qualité et garantie du respect pour le cadre de vie et le bon traitement des
animaux utilisés pour la tonte, comme le juste salaire et la
considération des droits des tricoteurs et tisseurs qui travaillent à la
main selon leur savoir-faire artisanal. Moonchild offre des collections plus authentiques qu’ethniques, un
rencontre entre une culture urbaine et des ateliers artisanaux péruviens, où
tous les modèles sont réalisés à la main en 100% Alpaga. Une mode qui donc n'est pas trivial,
mais le résultat d'un riche apparat iconographique, tissu comme une tapisserie.
Le Kilim est beaucoup moins durables que le tapis traditionnel, qui a un
manteau qui protège la chaîne et la trame, donc il n'est pas surprenant que peu
nous ont été rapportées du passé, mais il a quand même réussi à arriver jusqu'à
nous. Le kilim peut être purement décoratif ou peut être utilisé comme un tapis
de prière: encore une fois, la mode nous rappelle que notre corps est notre
temple.
http://vimeo.com/50162870
La “morte” della ragazza convenzionale: Suicide Girls.
Ragazze con la mania dell’esibizionismo e la tendenza al suicidio? Niente
di tutto ciò. Le Suicide Girls, ragazze alternative che non mirano alla morte, come molti
erroneamente credono, indicano nient’altro che il “suicidio” della classica
ragazza per bene, per lasciare spazio a quella che definiscono la vera essenza
del loro animo: “ What some people think makes us strange or weird or fucked up,
we think is what makes us beautiful." Questo é il loro motto, ma la
risposta della società quale potrebbe essere? Non sarà semplice, e varierà in
base al carattere e alle credenze di chi guarda, ma ciò che é certo éche il
fenomeno “Suicide Girls” é ormai ben più che una moda: un vero e proprio
movimento che sta toccando anche la nostra penisola. La “community” venne fondata anni fa dalla
fotografa americana "Missy Suicide", che iniziò a fotografare delle
ragazze particolari e dichiaratamente alternative senza veli e senza la paura
di nascondere segni e imperfezioni fisiche da parte di queste ultime. Il nome é
un omaggio manifesto al romanzo preferito di Missy, "Survivor", di
Chuck Palahniuk. Uno dei lati positivi e genuini dell’arte portata avanti dalle
modelle e dai fotografi Suicide é la negazione del silicone e di qualsiasi
altro ritocco, persino quello del sempre presente Photoshop. Possiamo benissimo
definirle le anti-conigliette di Playboy, le anti-veline, una via di mezzo tra
i personaggi degli anime made in Japan e il punk degli anni settanta. Nell’universo
delle Suicide Girls ogni donna é splendida perché diverso e unico modello di
femminilità: ogni corpo femminile é capace di osare, di provocare e
d'inquietare. Questa é la libertà che é possibile, e per loro necessario,
esprimere. Per i "contrari" questo é solo un altro modo per esibirsi,
senza nessuna filosofia da portare avanti, ma sappiamo bene che dietro ogni
tendenza e ogni minimo interesse si cela sempre un meccanismo misterioso e
socialmente affascinante, soprattutto nel caso delle Suicide Girls: é come se
queste belle e meno (secondo i canoni estetici predominanti, ovviamente)
ragazze, incarnino, più degli altri tipi di bellezza, il "lato oscuro"
dell'immaginario maschile, soprattutto quello in cui esistono donne che non
chiedono il permesso, che si autoaffermano a tutti i costi e che fanno del loro
corpo prima di tutto un tempio per sé stesse, scegliendo il proprio look, e
rendendolo il più simile possibile al loro vero “ego” , attraverso piercing e tatuaggi
che raccontano un po’ si sé. Sicuramente il risultato sarà uno strumento di
lavoro oltre che di piacere, portando tutto ciò all'esterno e mostrandolo al
mondo grazie alla dedizione di fotografi e stylist indipendenti. Il loro non
allinearsi ai trend, alle mode e ai dogmi della bellezza tipici delle riviste
di moda é un chiaro segnale di rifiuto delle norme comportamentali ed estetiche
convenzionali. L’approccio fotografico é ricco di fantasia, la
varietà delle modelle incredibile e la libertà di potersi autorappresentare
al di fuori dagli schemi é unica e simbolica:
Suicide Girls non significa soltanto essere tatuate o piene di
piercing, ma anche costruirsi uno stile di vita che corrisponda a profonde
esigenze di indipendenza personale, senza mai rinnegare la propria femminilità.
Questo é il mondo delle Suicide Girls, una dimensione di cui si parlerà ancora
per molto tempo e che vale la pena di visitare con curiosità.
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Le tendenze haute couture: Paris Fashion Week.
Come
ogni anno, nella capitale di Francia nonché una delle capitali della moda
mondiale, si è tenuta una delle settimane più scottanti del fashion system
annuale, che ha visto sfilate varie e luccicanti sparse un po’ per tutta
Parigi. Iniziamo da un must dell’eccellenza francese, Louis Vuitton: quest'anno la sfilata faraonica di Louis Vuitton porta il
pubblico dentro un centro commerciale immaginario, frutto della scenografia
dell’artista francese Daniel Burden, che ha portato sulla passerella i vari
gruppi di modelle per insieme di colore, in cui dappertutto risuona l’eco
inconfondibile della fantasia a scacchi della celebre maison. Gli abiti sono
come delle colonne verticali, e le geometrie sono definite da colori neutri
come il bianco e il nero e da altri più vivaci e anni ’60 come il giallo e il
verde. La sottolineatura del grafismo e delle linee dritte si notano anche
nelle scarpe e nelle borse: le prime presentano tutte mezzi tacchi, per dare
un’aria “inquadrata” e poco frivola, e le seconde non sono altro che rigorosi
bauletti rettangolari. Chanel, dal canto suo, non esprime per niente tutta
questa “austerità” e si lascia andare alla leggerezza e alle forme un po’
aerodinamiche, come la nuova borsa-provocazione a forma di hula-hop. Karl
Lagerfield ci sorprende ancora una volta attraverso una scenografia faraonica che ha come tema portante
le energie alternative: la passerella, infatti, è una lunghissima serie di
pannelli solari da cui si ergono gigantesche pale eoliche, per riprendere
appunto quel’idea aerea espressa fin dall’inizio, ma non solo: è un messaggio
importante quello manifestato dalla maison della doppia C, che
pone l'accento sull'aumento delle temperature terrestri e sulla necessità di
investire in fonti diverse da carbone e petrolio. Gareth Pugh
propone invece una sfilata degna del proprio stile unico e inimitabile: le
silhouettes diventano figure femminili dall’allure dark e futuristica, per
certi versi un po’ inquietante ma dal fascino che rapisce, con influenze
stilistiche e geometriche che vanno dall’800 allo stile orientale. Givenchy ci
incanta attraverso la semplicità di un susseguirsi di pezzi minimal
estremamente eleganti e dal taglio irregolare e sbilanciato, per smorzare un
po’ l’aria fin troppo seriosa delle tinte unite nere, azzurrine e bianche (e
anche delle modelle): il tutto è incorniciato da dettagli in voile,
estremamente femminili e che rendono l’architettura degli abiti un po’
un’evocazione moderna di un misto tra ali ed onde. Come chiudere un bellezza se
non parlando di un'altra colonna portante come Yves Saint Laurent? La maison ha
creato qualcosa di unico e irripetibile: le modelle portano in passerella dei
cappelli voluminosi e misteriosi, ben in linea con gli abiti altrettanto
imponenti, una via di mezzo tra il classico abito da sera e le minigonne
casual, tra una rivisitazione del taglio imperiale e la classica tenuta à la
garçonne, in cui fa da protagonista un tripudio di diversi tessuti, tutto
all’insegna del total black senza tempo.
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“L’impressionismo e la moda”, il Musée d’Orsay accoglie la Paris Fashion Week.
Il famoso
museo parigino Musée d’Orsay, il 25 Settembre ha accolto a suo modo l'arrivo
della settimana della moda nella capitale con la mostra “L’Impressionisme et la
mode”. Un'esposizione pubblica, frutto della fusione tra capolavori impressionisti
e abiti d'epoca: gli impressionisti hanno sempre favorito la rappresentazione
della figura umana integrata nel proprio ambiente quotidiano, tenendo conto
della vita contemporanea in cui si destreggiava l’uomo “moderno”, nelle sue
attività abituali in città come in campagna. Hanno sempre fissato nell’attimo
sfuggente una considerazione di metodi e atteggiamenti del loro tempo, una loro
“impressione” visuale, creando quella che Baudelaire definisce "metamorfosi
quotidiana delle cose esterne". Perciò la mostra,realizzata col supporto
delle grandi maison Louis Vuitton e Christian Dior, propone una cinquantina di
abiti e accessori, tra cui dieci cappelli, presentando una panoramica della moda
femminile al tempo degli impressionisti. L’abbigliamento maschile, meno vario e
più uniforme, viene evocato attraverso una ventina di pezzi, ma comunque tutti
esemplari di prodotti tessili provenienti da collezioni pubbliche e private di
tutta la Francia. E, infine, un display documentario riunisce disegni, figurini
e riviste di moda, tra cui “La dernière Mode”, una breve recensione a cura di
Mallarmé, e le fotografie dallo studio Disdéri. La mostra ci offre un po 'della
sostanza e della solidità della pittura impressionista, in cui gli abiti e le
figure sono trasfigurati dalla magia di luci e ombre che, sia in movimento che
in stato di quiete, si fondono con l’ambiente circostante creando un tuttuno
dinamico. La realtà descrittiva dell’uomo e della donna tra il 1860 e il 1880 e
del loro aspetto quotidiano ha subito una metamorfosi innegabile a causa del
susseguirsi rapido dei diversi e approcci estetici: d’altra parte, grazie alla
rapidità di esecuzione, i gesti e giochi di tessuto danno autenticità a qualsiasi
“impressione” esterna. Manet, Monet, Renoir, Degas e Caillebotte: alcuni di
loro non hanno lavorato a Parigi per molti anni,ma nonostante ciò hanno sempre
portato con sé, attraverso le proprie opere, l’allure e lo stile di vita della
ville lumière, regalandoci un’istantanea sociale espressiva e sempre nuova. Le
prossime “exhibitions” avranno luogo al Metropolitan Museum of Art di New York,
dal 19 Febbraio al 27 Maggio 2013, e a Chicago presso “The Art Institute”, dal
29 Giugno al 22 Settembre 2013.
L’esposizione:
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mercoledì 12 settembre 2012
Bukowski mania: stile di ordinario citazionismo.
Stile esagerato e sboccato, spesso violento : Kerouak,
Burroughs, Welsh, Tusset, ma soprattutto il celebre Charles Bukowski. C’è chi
lo accosta alla tradizione della beat generation, ma probabilmente, dato il
contenuto dei suoi racconti e delle sue poesie e lo stile che calza tutto ciò a
pennello, potremmo definirlo un vero e proprio scrittore “pulp”. Grazie alle
opere dei "cannibali" in Italia e al successo del film Pulp
Fiction, la notorietà del "pulp" indusse il comico Bebo Storti a
creare il personaggio dello scrittore pulp Thomas Prostata, protagonista
di alcuni sketches del programma televisivo Mai dire
gol. Il suo tormentone era la battuta "Pulp, molto pulp... pure
troppo!". Vi sono anche scrittori non italiani che presentano uno stile
molto simile, come ad esempio Chuck
Palahniuk , uno dei maggiori esponenti dello stile pulp contemporaneo:
nel 1996 pubblica infatti il famoso Fight Club, che presenta già alcune somiglianze
con il movimento letterario italiano e che diventa ancora più simile in romanzi
successivi, stile che non perde neppure nelle sue ultime pubblicazioni, come
per esempio Gang bang. Ma torniamo al grande Bukowski : in
Italia conosce il successo nel 1978, sulla scia dei trionfi letterari francesi
e tedeschi e, da non credere, in America é ancora un perfetto sconosciuto.
Che fosse un insuccesso dovuto alla sua autenticità? E' lui che distrugge ogni
forma di patriottismo negli Stati Uniti, è lui che vivendo in quella stessa
società può raccontare la truffa dell’ “American dream”. Nel libro "Post
Office" racconta dei suoi anni di alienazione presso un ufficio postale,
descrivendo una società in cui il posto di lavoro non è mai sicuro, in cui si
può lavorare per dodici anni presso la stessa azienda senza mai essere assunti
dalla stessa, cosa che va ancora di moda oggi. Gli americani, con tutta
probabilità, non gli perdonarono di essere americano, così come non perdonano il
fatto che gli europei apprezzino uno scrittore che distrugge la società
americana. Ma in Europa troviamo uno scenario completamente diverso: esplode
una sorta di Bukowski mania, soprattutto a dieci anni dopo la sua morte. In
Italia viene portato Bukowski a teatro con l'attore Alessandro Haber, dove viene narrata la sua
accoglienza e il suo viaggio in Europa nel libro autobiografico "Shakespeare
non l'ha mai fatto", il cui titolo è probabilmente una sua allucinazione
alcolica, dove si descrive anche lo scandalo avvenuto alla televisione
francese quando fu allontanato o malamente scacciato come un qualunque
ubriacone molesto. Ma cos’è che rende Charles Bukowski così amato dalle nuove
generazioni di perpetui citazionisti e/o veri amanti della letteratura? Il vero
successo di Bukowski sta nell'essere sempre stato Charles Bukowski e,
successo o meno, ciò che più è importante è, aldilà di quello che ha scritto, ciò
che poteva e può significare. Rispetto alla tradizione letteraria americana si
sente che Bukowski realizza uno scarto, ed è uno scarto significativo: in una
scrittura molto ripetitiva e sostanzialmente prevedibile, Bukowski fa irruzione
con qualcosa di completamente nuovo, se stesso incarnato in uno stile. La
Bukowski mania probabilmente, e purtroppo, è più una questione di apprezzamento
vuoto di stile che di profonda empatia con il lettore. Ma d’altronde, lo stesso
Bukowski afferma: “ Lo stile è una risposta a tutto. Un nuovo modo di
affrontare un giorno noioso o pericoloso fare una cosa noiosa con stile è
meglio che fare una cosa pericolosa senza stile. fare una cosa pericolosa con
stile è ciò che io chiamo arte. Boxare può essere arte. Amare può essere arte.
Aprire una scatola di sardine può essere arte. Non molti hanno stile. Non molti
possono mantenere lo stile. Ho visto cani con più stile degli uomini, Sebbene
non molti cani abbiano stile. I gatti ne hanno in abbondanza.”
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mercoledì 8 agosto 2012
The butterfly effect
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L'intimo femminile, una "scoperta" rivoluzionaria.
E’ di qualche tempo fa una delle scoperte che potrebbe
rivoluzionare la storia della moda: un reggiseno assolutamente simile a quello dei giorni nostri, con tanto di
coppe, risalente al XV secolo. La rivelazione
arriva da un castello del Tirolo, dove sono stati ritrovati quattro
reggiseni usati fra il 1440 e il 1485. I
più antichi della storia della moda, che a questo punto "andrà
riscritta", dice l'archeologa Beatrix Nutz, responsabile della ricerca sui
tessuti. Il ritrovamento è datato in realtà nel 2008, quando un team
archeologico dell'università di Innsbruck, durante i lavori di ristrutturazione
di un castello nel Tirolo dell'est, ha individuato una piccola discarica
medioevale in una cavità del palazzo. Ciò
che ha stupito immediatamente è stata certamente la forma della coppa, dato che
prima di questa scoperta, infatti, la nascita del reggiseno è sempre
stata datata nell'Ottocento. La storia della moda diceva finora che le donne,
prima dell'Ottocento, indossassero solo una sottoveste di lino, mentre,
nell'antichità, le donne greche avrebbero utilizzato delle fasce di stoffa. Le
coppe, insomma, sono sempre state ritenute un'invenzione moderna. Ma l’intimo vero e proprio quando è nato? La
nascita dell'abbigliamento intimo si fa risalire all'antico Egitto, quando la nobiltà femminile inizia ad
indossare delle tuniche a
diretto contatto con la pelle.
Queste divengono camicie, per venire poi
indossate anche dalle donne greche:
non sono altro che delle vesti di lino che arrivano fino ai piedi. Nei primi
capi di abbigliamento intimo della storia, si nota la principale funzione che
ebbero nel corso dei secoli: nascondere,
comprimere ed appiattire le forme. Per la
loro natura gli indumenti intimi hanno sempre rappresentato nella storia
qualcosa da celare e da non nominare e per questo furono relegati per tanti
anni alla sola sfera privata. La
biancheria nel senso moderno del termine, si pensava fosse ancora sconosciuta
nel Medioevo,
cioè che fosse esclusivamente una tendenza presso le famiglie nobili di
indossare capi più fini sotto gli abiti, per separarli dal diretto contatto con
la pelle: perciò la scoperta nel castello del Tirolo appare così sensazionale.
La storia della biancheria intima è parallela a quella dell’emancipazione
femminile, segna il passaggio dalla condizione sociale di costrizione a quella
di libertà, dai corsetti con le stecche di balena, che sottileavano la
schiavitù, l'impaccio e la difficoltà di movimento, ai più succinti tanga di oggi.
Perciò il secolo scorso è stato così rivoluzionario, un secolo che ha visto
numerosi stravolgimenti nel mondo dell'intimo donna, dovuti anche all'industrializzazione
e alla scoperta di nuovi materiali.
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lunedì 23 luglio 2012
Bisessualità: androginia platonica o tendenza confusa?
Oggi
nella rete, come nella realtà, essere bisessuale per una donna
sembra davvero essere il passepartout per conquistare un uomo e non solo. E’
una tendenza effettiva o una moda vera e propria? Che due donne assieme siano la fantasia di ogni uomo eterosessuale non è cosa nuova, come non è
nuovo il desiderio delle donne di sperimentare la propria
sessualità, molto più fluida di quella maschile. Quello che però
viene da chiedersi è: per chi bisessuale lo è davvero, ovvero per quelle persone davvero libere che si innamorano di
entrambi i sessi, quella che viene
professata esclusivamente come moda, non diventa forse dannosa? O
siamo tutti vittime dello stesso
contesto sociale e la bisessualità è solo
il costume di questi anni? Sicuramente l'incertezza diffusa, l'insicurezza
cosmica che ci circonda in ogni ambito della nostra vita, alimenta la paura dei
legami solidi, la
diffidenza nei confronti dell'amore e dei sentimenti puri, alimentando la necessità di vie di fuga, di cui la bisessualità
potrebbe risultare una delle tante. E' anche vero che oggi siamo nell'epoca delle morali labili, del
compromesso, delle mezze verità, e
quindi professarsi lesbiche non paga più, perché lega le donne ad un
immaginario femminista obsoleto, che le porta a rifugiarsi
in etichette meno rigide. Questo non fa altro che aumentare il caos nei rapporti con
se stessi e con gli altri. Ma questo potrebbe essere tutt’altro che negativo.
Ognuno di noi è cresciuto con l’ideale della coppia etero, in cui la donna da
importanza all’uomo e viceversa: chi è che invece da importanza alla “persona”?
In ognuno di noi convivono parti maschili e parti femminili.
Ciascun sesso porta in sè tratti dell' altro sesso. "All' inizio della
vita si può parlare di una vera e propria androginia", conferma Claudio
Risè, psicanalista e scrittore. "Nella fase embrionale, infatti, sono
presenti da un punto di vista biologico sia le strutture di base maschili che
quelle femminili. Nel corso della gestazione si verifica una regressione dei
tratti di uno dei due sessi, per arrivare poi alla definizione dell' identità
sessuale". Ecco perchè non è poi così sconvolgente manifestare tendenze
bisessuali nell' età adulta, anche se, nella maggioranza dei casi, si tende a tenerlo
nascosto. L' omosessualità è una condizione ormai accettata praticamente da tutti, mentre
il bisessuale è ancora visto da alcuni come qualcosa di perverso e sbagliato.
In realtà in tal senso vi sono dei risultati che parlano chiaro: secondo
l' ultimo sondaggio dell' Asper (Associazione per lo studio dell' analisi
psichica e la ricerca sessuologica) sui comportamenti sessuali degli italiani,
il 14,6 per cento degli uomini e il 12,1 per cento delle donne tra i 18 e i 50
anni si definiscono bisessuali. Un fenomeno in aumento, e non solo. Il 34% è
convinto che la naturale tendenza degli esseri umani è la bisessualità, e che
poi è la società che impone ingiustamente di fare una scelta, come per voler
placare l’androgino che costituisce ognuno di noi: un po’ come nel Simposio di
Platone, in cui Aristofane, nel dialogo, narra di un terzo genere, non figlio
del Sole come gli uomini, non figlio della Terra come le donne, ma figlio della
Luna, che della natura di entrambi partecipa. Il mito racconta che la
completezza autosufficiente rese gli umani androgini così arroganti da
immaginare di dare la scalata all'Olimpo,
e Zeus fu costretto dunque a separare
ciascuno di loro in due metà, riducendoli a solo maschio e solo femmina. Quella
che viene definita "l'umana nostalgia dell'interezza", mai placata, è
la radice e in qualche modo la costrizione all'amore, oppure “alla brama e all'inseguimento dell'interezza,
ebbene, tocca il nome di bisessualità”? C’è da dire che anche tra le star di
tutto il mondo la tendenza bisex esercita una grande influenza: Kylie Minogue
ha rivelato, ad esempio, di essere affascinata e attratta da certe donne, con
cui flirta naturalmente. Sono parole che non stupiscono affatto, visto che la
pop star australiana è una delle tante donne dello spettacolo che si è
cimentata in dichiarazioni di questo genere, basti pensare a Madonna e alla sua
performance con Britney Spears e Christina Aguilera agli Mtv Awards, alle
affermazioni di MeganFox, e addirittura alla lunga relazione tra Lidsay Lohan e
la dj Samantha Ronson. Bisex è bello e fa tendenza, ma è necessario tener conto
che alcuni, oltre alla curiosità del momento, passano una vita intera a
innamorarsi di una personalità, di un carattere, di una persona.
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Il Barocco Contemporaneo di Abed Mahfouz sfila ad “AltaRoma AltaModa”.
Martedì 10 Luglio, quinta giornata della
manifestazione di moda “AltaRoma AltaModa”. La passerella della Sala Lancisi,
all’interno del complesso monumentale di Santo Spirito in Sassia, si trasforma
improvvisamente in un ponte, spaziale e temporale, che va dall’Oriente
all’Occidente, dal Barocco all’età contemporanea: è la collezione Couture
Autunno-Inverno firmata Abed Mahfouz, grande nome nell’alta moda
internazionale. Lo stilista libanese, per l’appunto, ha presentato una
collezione intitolata “Contemporary Baroque”, in cui l’opulenza e la
ricercatezza di altri tempi si fondono alle texture innovative fatte di pietre,
cristalli e paillettes, creando un effetto unico e persino dinamico, attraverso
i movimenti morbidi dei dettagli in piume di struzzo, tulle e pizzo. Gli abiti
da sera sembrano danzare, dando vita a una figura femminile che quasi fluttua,
enigmatica e sofisticata: la donna è vestita di un’aura principesca ed
elegante, ma allo stesso tempo eterea e innaturale, un po’ come una sirena dai
toni cangianti. La palette della collezione s’ispira ai colori naturali e della
terra, dal beige chiaro al fango, dal viola ghiaccio al frosty green, il tutto
incorniciato dai ricorrenti fiori di organza tagliati al laser e applicati
casualmente, che danno un effetto leggero e passeggero, un po’ come delle
nuvole. Le stampe barocche, i disegni dallo stile
ricco di dettagli sorprendenti, sono stati ripresi dalle tappezzerie di
castelli e palazzi d'epoca, e poi riportati con pietre e swarovski ricamati
sugli abiti, tono su tono. Gli accessori e i dettagli, invece, sono stati
studiati per accentuare al massimo le forme femminili e disegnare il punto
vita: cinture sottili e strette e fianchi imbottiti, proprio come nel '600. E,
per chiudere in bellezza, un fantastico abito da sposa off-white arricchito di
cristalli, per una donna sinuosa ma dall’allure esuberante.
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mercoledì 20 giugno 2012
Impossible conversations: Elsa Schiaparelli e Miuccia Prada oltre i passaggi epocali.
La “Grande mela” ha inaugurato il 10 Maggio la mostra “Schiaparelli and Prada: Impossible
Conversations”, uno degli
eventi più attesi dell’anno: una ricerca di affinità tra due grandi stiliste di epoche
diverse, nonchè occasione per ribadire l'importanza del made in Italy a livello
internazionale. La kermesse ha luogo in un tempio dell'arte
contemporanea mondiale, il MET
di New York, e vuole creare una sorta di
parallelo tra Elsa Schiaparelli e Miuccia Prada. Ispirata alle "Interviste impossibili" di Vanity Fair degli anni ‘30,
la mostra presenta un dialogo immaginario tra
due donne iconiche per suggerire nuove letture del loro lavoro innovativo attraverso
i loro diversi approcci creativi. E’ come servirsi
di una macchina del tempo per andare oltre passaggi epocali
di modi, usi e costumi che le hanno viste tanto simili quanto agli antipodi, ma
entrambe protagoniste. Circa 100 disegni e 40 accessori di Elsa Schiaparelli
(1890-1973), dalla fine del 1920 ai primi anni ’50 ,si mescolano con quelli di
Miuccia Prada dalla fine degli anni ’80 ad oggi. Due tempi diversi,
due donne diverse, ma un solo pensiero, perchè più che di moda, la mostra
parlerà di un certo modo di vedere, e di conseguenza poi vestire, il mondo. Mettendo
da parte il titolo stesso della mostra, la conversazione tra le due più grandi
stiliste italiane di sempre è più che possibile: entrambe sono intellettuali,
vedono la moda come esercizio cerebrale, strumento per indagare il gusto in
modo anticonvenzionale e mai banale. Un abito nasce dall'estro mentale di uno
stilista “demiurgo”, ma con queste due donne il discorso è diverso: il
risultato ha superato l'estetica diventando manifesto, criterio di lettura o
addirittura anticipazione di tempi. Elsa
Schiaparelli, l'artista: trascinò il Surrealismo tra le pieghe dei vestiti. Dalì
e Cocteau disegnarono per lei, ma Elsa fece di più, offrendo alle donne l'idea
di un'emancipazione fatta ad abito, dando il via al ritmo stagionale delle
collezioni, un po’ in competizione con il mito Coco Chanel. Miuccia Prada, la
modaiola: la signora del Made in Italy è famosa per la sua abitudine di
cambiare idea ogni cinque minuti, e così fa anche con i vestiti e le sue
collezioni. Finti errori diventano ossessioni fashion: un “disturbo” che sottintende l'estetica in
equilibrio tra rottura e classicismo e con essi porta avanti un discorso, che
noi volgarmente chiamiamo moda. I
lavori esposti provengono tutti dalla raccolta del Costume Institute, dall’archivio di Prada e da
altre collezioni private. La mostra sarà
aperta al pubblico a partire dal 10 maggio, fino al 19 agosto: è un vero e proprio percorso artistico e culturale che riesce ad
esprimere la femminilità e la modernità dagli anni '20 fino ad oggi.
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martedì 22 maggio 2012
Hip Hop, quando la passione si intreccia con la vita.
Danza Hip Hop: Popping, Locking, B-boying o Breaking, ma sempre e comunque
un’arte che nasce e si sviluppa nell’ambiente urbano, e non in Accademia. Oggi
per Hip Hop si intende una disciplina di ballo, recentemente considerata
anche come "danza sportiva" dalla IDSF (International Dance Sport
Federation), che proviene o aderisce ai principi culturali ed estetici del
movimento Hip Hop. B-boying (Breakdance), Locking, Popping e Uprock sono le originali danze "di strada" (street dance), ma la principale danza Hip
hop è considerata il
B-boying, poiché nata assieme alle altre discipline fondamentali del Dj'ing, del Writing, e dell’ Mc'ing. Negli ultimi anni si sono sviluppati nuovi
stili di danza come il New style, il Krumping e l'House , ma non sono accettate da
tutti come danze hip hop, poiché sviluppatisi in contesti culturali molto
differenti da quelli originali. L’hip hop ha infatti molte
radici differenti: la musica, il ritmo e lo spirito sono derivazioni dei
tamburi africani, e la danza proviene dalle tribù africane, dal Kung Fu cinese,
dalla Capoeira brasiliana e da innumerevoli altre influenze. Tutti questi stili
differenti arrivarono insieme, sia nella East coast che nella West coast, a
formare tutti quegli stili dell’hip hop che noi oggi conosciamo. Molte scuole di ballo offrono l'opportunità di
imparare le danze hip hop, ma solitamente si tratta di breakdance o
combinazione di elementi di varie danze, poiché costituiscono un genere molto
vasto, e l'insegnante ha quindi la
possibilità di dare una propria interpretazione personale alle lezioni,
mescolando i generi e creando stili e
contaminazioni sempre diverse, per poi proporre il proprio personale lavoro in
contest e concorsi vari. In Italia, come all’estero, si stanno sviluppando
diverse possibilità in tal senso, e ne è un esempio il grande evento sbarcato a
Roma Sabato 12 Maggio al Teatro Italia: il World Hip Hop Dance
Championship, la competizione di street dance prodotta dai creatori del celebre
talent show “Randy Jackson presents AMERICA'S BEST DANCE CREW”, in onda su MTV.
Il contest è stato suddiviso in due fasi, una dedicata ai giovanissimi della
categoria Junior (riservata agli street dancer di età compresa tra 7 e 12 anni)
e alle Crew esordienti della categoria Megacrew (riservata a gruppi senza
limiti di età compresi tra 12 e 40 elementi), l’altra dedicata alle promettenti
Crew della categoria Varsity (dedicata agli street dancer di età compresa tra
13 e 17 anni) e alle super Crew della categoria Adult (riservata agli street
dancer over 18). I giovani street dancers si sono affrontati a colpi di bounce,
beat e waves nel tentativo di convincere i 7 componenti della giuria e
qualificarsi per la finale mondiale in programma alla Orleans Arena di Las
Vegas (1-5 Agosto 2012), dove approderanno le Crew vincitrici delle qualificazioni
ospitate in oltre quaranta paesi. Lo spettacolo ovviamente è stato avvincente,
acceso da una grandissima competizione tra i più talentuosi danzatori italiani:
tutti ingredienti di una ricca serata che inoltre ha visto la partecipazione,
in qualità di giudici, di alcuni dei più importanti esponenti della street
dance italiana, come Betty Style (protagonista del film Street Dance 2), Laccio
(leader dei Modulo Project, attuale corpo di ballo della trasmissione “The Show
Must Go Off”), Kris e Sponly Love (già noti al grande pubblico come insegnanti
hip hop del talent Amici), Fritz, leader della scena underground italiana e
Meg, prima giudice italiana internazionale del World Hip Hop dance
Championship. Tutto ciò nella cornice di una presentazione impeccabile e di
stile, quella di Rido, voce della celebre competizione di breakdance Battle of
the Year. Vari gruppi di danza rivendicano di fare hip
hop, ma quello che non capiscono in molti, anche nel pubblico appassionato, è
il significato profondo del nome, che rappresenta l’origine e li nucleo
propulsivo della passione e del coinvolgimento di chi dedica tutto se stesso a
questa disciplina. Al giorno d’oggi tutte le palestre offrono classi di hip
hop, ma i veri ballerini di hip hop ballano come danzatori/insegnanti hip hop
in palestra? Esiste un vero stile hip hop, autentico. Se sei un vero ballerino
di hip hop lo sai. Lo mangi, lo respiri, lo vivi. Ciascun ballerino di hip hop
deve conoscere la storia e l’origine dell’hip hop ed i personaggi storici che ci sono dietro in
modo da poter diffondere queste informazioni alle prossime generazioni. Questo è l’unico modo per mantenere viva la cultura
di questa danza, senza mai radicalizzare la tradizione, ma solo per prenderne
coscienza e creare innovazioni sempre in gioco.
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mercoledì 16 maggio 2012
Fashion save the queen: lo stile londinese dalle passerelle alla metro.
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