TAG ME, ed ecco che l’eccellenza haute gamme fa sentire la propria
voce anche dalla Spagna. Il marchio nasce dall'idea di creare dei capi su
misura esclusivi per donne con individuali esigenze di vestire, tutti i giorni.
Donne con valori e obbiettivi molto chiari, che apprezzano la qualità al giusto
prezzo. Tag me non è quindi una linea di abbigliamento specifico, si tratta più
che altro di un «raggio di azione» che contiene molteplici opzioni e che ispira
e trasmette un’idea personale. I concetti portati avanti sono semplici ma molto
ampi: la vita e l'abbigliamento vanno di pari passo. Gli uomini hanno bisogno
di vestirsi non solo per bisogno di sopravvivenza, ma per essere in grado di
socializzare; anche nelle comunità primitive le vesti permettevano agli individui di differenziarsi l’uno
dall’ altro. Il modo di vestire distingue le società, le tribù, le città, i paesi,
i gruppi etnici. Noi tutti vestiamo in modo particolare, come particolari sono i
nostri gusti, stili di vita, personalità, la famiglia, il lavoro, gli amici. Per
Tag Me quindi, ogni persona, deve essere in grado di far emergere il proprio
ego, le proprie aspirazioni e ambizioni al di sopra delle masse: la proposta
per questa stagione è una sorta di didascalia visiva di questi concetti: il
carattere del brand si manifesta in modo sofisticato e cosmopolita. Il freddo
dell’inverno viene smorzato dal tocco “caldo”
dei polsini esterni e dei risvolti, che sono i veri protagonisti di questa
collezione assieme ai materiali dei componenti interni ed esterni di altà
qualità. Giubbotti, giacche corte e cappotti anni Settanta vanno dai toni del
nero a quelli del castano e del caramello. Lo stile è allo stesso tempo moderno
e chic, inconfondibile nella particolarità delle pelli. Questa nuova collezione
comprende inoltre una giacca prodotta in esclusiva con la collaborazione del
celebre designer Gori de Palma: un capo che trasuda di rock, attraverso diverse
cerniere decorative nella parte anteriore e delle borchie disposte in serie
nelle spalle, una sottolineatura glam della cura del dettaglio e dell’impegno
nella manifattura. Il must della moda rimane sempre lo stesso: esprimere se
stessi senza pronunciare una parola o mostrare un gesto. Ogni donna ha bisogno
di avere un indumento che la faccia sentire a proprio agio in ogni luogo, senza
perdere la propria comodità e praticità, che la vita moderna impone alle nostre
giornate. Un capo su misura che ti faccia sentire unica, perché alla fine della
giornata, ecco cosa sei. Unica.
Per cogliere novità e modi di essere, di diventare…Istinti, evoluzioni e trasformazioni di una società contemporanea sempre più border-line, dove le differenze talvolta vengono cancellate dall’omologazione. Dalle passerelle al costume, dai luoghi ai rapporti interpersonali, per dare un’istantanea sempre nuova del “coprimento” individuale, dall’abito materiale a quello metaforico: le maschere che ognuno di noi indossa, singolarmente e nel proprio ruolo sociale.
domenica 28 ottobre 2012
Tag me: la donna “taggata” nell’istantanea di tendenza.
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Gigolò: L'homme indipendente à la conquête du monde.
Indépendant,
éthéreal, et hors de toute convention. Audacieux, confiant en lui-même, intelligent et irrévérencieux. "Gigolo", Fashion to wear,
est une marque italienne qui gagne du terrain chez l’imaginaire des hommes en
Europe, et pas seulement, mais surtout il est à la conquête de l'homme français,
parisien par excellence. En effet, grâce à son souci du détail, Gigolo propose
un total look pour chaque occasion, et c'est exactement ce que chaque homme
moderne cherche: un équilibre entre la simplicité et l'élégance indispensable, un
veritable éclectisme. Il est vrai aussi qu'à cette époque l’"Urban
wear" ne concerne plus seulement les «mauvais garçons de la rue», mais
surtout l'homme qui veut atténuer son allure sérieuse afin de montrer, même
avec une simplet-shirt, une veste ou une chemise , un style unique en respectant
sa propre personnalité. Et puis la couture se mélange au casual: les lignes et
les coupes valorisent les le corps en façon essentielle, raffinée et authentique.
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Le Kilim et la mode, le corps et le temple.
Le Kilim:
textures tissés d'histoire et tradition. Pas seulement de l’art, mais aussi un
document qui n'est pas écrit, mais c’est à lire à travers une interprétation
symbolique des formes qui y sont reproduits. Dans l'histoire du tapis, l’ensemble de ces figures géométriques,
étroitement liés à la technique de tissage, a évolué dans des conceptions plus
sophistiquées et complexes qui reflètent les traditions des différentes communautés
tribales, la religion, les croyances
et les superstitions qui les
caractérisent. C’est à partir de cette imagerie fascinante qui la poétique
de Moonchild Paris attire, née de l’imagination de Pascale Koehl, qui fut
styliste de la marque française “April 77” durant sept années. Haute
qualité et garantie du respect pour le cadre de vie et le bon traitement des
animaux utilisés pour la tonte, comme le juste salaire et la
considération des droits des tricoteurs et tisseurs qui travaillent à la
main selon leur savoir-faire artisanal. Moonchild offre des collections plus authentiques qu’ethniques, un
rencontre entre une culture urbaine et des ateliers artisanaux péruviens, où
tous les modèles sont réalisés à la main en 100% Alpaga. Une mode qui donc n'est pas trivial,
mais le résultat d'un riche apparat iconographique, tissu comme une tapisserie.
Le Kilim est beaucoup moins durables que le tapis traditionnel, qui a un
manteau qui protège la chaîne et la trame, donc il n'est pas surprenant que peu
nous ont été rapportées du passé, mais il a quand même réussi à arriver jusqu'à
nous. Le kilim peut être purement décoratif ou peut être utilisé comme un tapis
de prière: encore une fois, la mode nous rappelle que notre corps est notre
temple.
http://vimeo.com/50162870
La “morte” della ragazza convenzionale: Suicide Girls.
Ragazze con la mania dell’esibizionismo e la tendenza al suicidio? Niente
di tutto ciò. Le Suicide Girls, ragazze alternative che non mirano alla morte, come molti
erroneamente credono, indicano nient’altro che il “suicidio” della classica
ragazza per bene, per lasciare spazio a quella che definiscono la vera essenza
del loro animo: “ What some people think makes us strange or weird or fucked up,
we think is what makes us beautiful." Questo é il loro motto, ma la
risposta della società quale potrebbe essere? Non sarà semplice, e varierà in
base al carattere e alle credenze di chi guarda, ma ciò che é certo éche il
fenomeno “Suicide Girls” é ormai ben più che una moda: un vero e proprio
movimento che sta toccando anche la nostra penisola. La “community” venne fondata anni fa dalla
fotografa americana "Missy Suicide", che iniziò a fotografare delle
ragazze particolari e dichiaratamente alternative senza veli e senza la paura
di nascondere segni e imperfezioni fisiche da parte di queste ultime. Il nome é
un omaggio manifesto al romanzo preferito di Missy, "Survivor", di
Chuck Palahniuk. Uno dei lati positivi e genuini dell’arte portata avanti dalle
modelle e dai fotografi Suicide é la negazione del silicone e di qualsiasi
altro ritocco, persino quello del sempre presente Photoshop. Possiamo benissimo
definirle le anti-conigliette di Playboy, le anti-veline, una via di mezzo tra
i personaggi degli anime made in Japan e il punk degli anni settanta. Nell’universo
delle Suicide Girls ogni donna é splendida perché diverso e unico modello di
femminilità: ogni corpo femminile é capace di osare, di provocare e
d'inquietare. Questa é la libertà che é possibile, e per loro necessario,
esprimere. Per i "contrari" questo é solo un altro modo per esibirsi,
senza nessuna filosofia da portare avanti, ma sappiamo bene che dietro ogni
tendenza e ogni minimo interesse si cela sempre un meccanismo misterioso e
socialmente affascinante, soprattutto nel caso delle Suicide Girls: é come se
queste belle e meno (secondo i canoni estetici predominanti, ovviamente)
ragazze, incarnino, più degli altri tipi di bellezza, il "lato oscuro"
dell'immaginario maschile, soprattutto quello in cui esistono donne che non
chiedono il permesso, che si autoaffermano a tutti i costi e che fanno del loro
corpo prima di tutto un tempio per sé stesse, scegliendo il proprio look, e
rendendolo il più simile possibile al loro vero “ego” , attraverso piercing e tatuaggi
che raccontano un po’ si sé. Sicuramente il risultato sarà uno strumento di
lavoro oltre che di piacere, portando tutto ciò all'esterno e mostrandolo al
mondo grazie alla dedizione di fotografi e stylist indipendenti. Il loro non
allinearsi ai trend, alle mode e ai dogmi della bellezza tipici delle riviste
di moda é un chiaro segnale di rifiuto delle norme comportamentali ed estetiche
convenzionali. L’approccio fotografico é ricco di fantasia, la
varietà delle modelle incredibile e la libertà di potersi autorappresentare
al di fuori dagli schemi é unica e simbolica:
Suicide Girls non significa soltanto essere tatuate o piene di
piercing, ma anche costruirsi uno stile di vita che corrisponda a profonde
esigenze di indipendenza personale, senza mai rinnegare la propria femminilità.
Questo é il mondo delle Suicide Girls, una dimensione di cui si parlerà ancora
per molto tempo e che vale la pena di visitare con curiosità.
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Le tendenze haute couture: Paris Fashion Week.
Come
ogni anno, nella capitale di Francia nonché una delle capitali della moda
mondiale, si è tenuta una delle settimane più scottanti del fashion system
annuale, che ha visto sfilate varie e luccicanti sparse un po’ per tutta
Parigi. Iniziamo da un must dell’eccellenza francese, Louis Vuitton: quest'anno la sfilata faraonica di Louis Vuitton porta il
pubblico dentro un centro commerciale immaginario, frutto della scenografia
dell’artista francese Daniel Burden, che ha portato sulla passerella i vari
gruppi di modelle per insieme di colore, in cui dappertutto risuona l’eco
inconfondibile della fantasia a scacchi della celebre maison. Gli abiti sono
come delle colonne verticali, e le geometrie sono definite da colori neutri
come il bianco e il nero e da altri più vivaci e anni ’60 come il giallo e il
verde. La sottolineatura del grafismo e delle linee dritte si notano anche
nelle scarpe e nelle borse: le prime presentano tutte mezzi tacchi, per dare
un’aria “inquadrata” e poco frivola, e le seconde non sono altro che rigorosi
bauletti rettangolari. Chanel, dal canto suo, non esprime per niente tutta
questa “austerità” e si lascia andare alla leggerezza e alle forme un po’
aerodinamiche, come la nuova borsa-provocazione a forma di hula-hop. Karl
Lagerfield ci sorprende ancora una volta attraverso una scenografia faraonica che ha come tema portante
le energie alternative: la passerella, infatti, è una lunghissima serie di
pannelli solari da cui si ergono gigantesche pale eoliche, per riprendere
appunto quel’idea aerea espressa fin dall’inizio, ma non solo: è un messaggio
importante quello manifestato dalla maison della doppia C, che
pone l'accento sull'aumento delle temperature terrestri e sulla necessità di
investire in fonti diverse da carbone e petrolio. Gareth Pugh
propone invece una sfilata degna del proprio stile unico e inimitabile: le
silhouettes diventano figure femminili dall’allure dark e futuristica, per
certi versi un po’ inquietante ma dal fascino che rapisce, con influenze
stilistiche e geometriche che vanno dall’800 allo stile orientale. Givenchy ci
incanta attraverso la semplicità di un susseguirsi di pezzi minimal
estremamente eleganti e dal taglio irregolare e sbilanciato, per smorzare un
po’ l’aria fin troppo seriosa delle tinte unite nere, azzurrine e bianche (e
anche delle modelle): il tutto è incorniciato da dettagli in voile,
estremamente femminili e che rendono l’architettura degli abiti un po’
un’evocazione moderna di un misto tra ali ed onde. Come chiudere un bellezza se
non parlando di un'altra colonna portante come Yves Saint Laurent? La maison ha
creato qualcosa di unico e irripetibile: le modelle portano in passerella dei
cappelli voluminosi e misteriosi, ben in linea con gli abiti altrettanto
imponenti, una via di mezzo tra il classico abito da sera e le minigonne
casual, tra una rivisitazione del taglio imperiale e la classica tenuta à la
garçonne, in cui fa da protagonista un tripudio di diversi tessuti, tutto
all’insegna del total black senza tempo.
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“L’impressionismo e la moda”, il Musée d’Orsay accoglie la Paris Fashion Week.
Il famoso
museo parigino Musée d’Orsay, il 25 Settembre ha accolto a suo modo l'arrivo
della settimana della moda nella capitale con la mostra “L’Impressionisme et la
mode”. Un'esposizione pubblica, frutto della fusione tra capolavori impressionisti
e abiti d'epoca: gli impressionisti hanno sempre favorito la rappresentazione
della figura umana integrata nel proprio ambiente quotidiano, tenendo conto
della vita contemporanea in cui si destreggiava l’uomo “moderno”, nelle sue
attività abituali in città come in campagna. Hanno sempre fissato nell’attimo
sfuggente una considerazione di metodi e atteggiamenti del loro tempo, una loro
“impressione” visuale, creando quella che Baudelaire definisce "metamorfosi
quotidiana delle cose esterne". Perciò la mostra,realizzata col supporto
delle grandi maison Louis Vuitton e Christian Dior, propone una cinquantina di
abiti e accessori, tra cui dieci cappelli, presentando una panoramica della moda
femminile al tempo degli impressionisti. L’abbigliamento maschile, meno vario e
più uniforme, viene evocato attraverso una ventina di pezzi, ma comunque tutti
esemplari di prodotti tessili provenienti da collezioni pubbliche e private di
tutta la Francia. E, infine, un display documentario riunisce disegni, figurini
e riviste di moda, tra cui “La dernière Mode”, una breve recensione a cura di
Mallarmé, e le fotografie dallo studio Disdéri. La mostra ci offre un po 'della
sostanza e della solidità della pittura impressionista, in cui gli abiti e le
figure sono trasfigurati dalla magia di luci e ombre che, sia in movimento che
in stato di quiete, si fondono con l’ambiente circostante creando un tuttuno
dinamico. La realtà descrittiva dell’uomo e della donna tra il 1860 e il 1880 e
del loro aspetto quotidiano ha subito una metamorfosi innegabile a causa del
susseguirsi rapido dei diversi e approcci estetici: d’altra parte, grazie alla
rapidità di esecuzione, i gesti e giochi di tessuto danno autenticità a qualsiasi
“impressione” esterna. Manet, Monet, Renoir, Degas e Caillebotte: alcuni di
loro non hanno lavorato a Parigi per molti anni,ma nonostante ciò hanno sempre
portato con sé, attraverso le proprie opere, l’allure e lo stile di vita della
ville lumière, regalandoci un’istantanea sociale espressiva e sempre nuova. Le
prossime “exhibitions” avranno luogo al Metropolitan Museum of Art di New York,
dal 19 Febbraio al 27 Maggio 2013, e a Chicago presso “The Art Institute”, dal
29 Giugno al 22 Settembre 2013.
L’esposizione:
https://www.facebook.com/media/set/?set=a.497974063546283.121316.170924542917905&type=1
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