domenica 11 marzo 2012

Cosplay: quando la realtà insegue la fantasia


Roma: Immaginate che il vostro personaggio di fumetti preferito non sia solo un disegno relegato tra le pagine inchiostrate di un volume tenuto con cura nella vostra libreria, che egli potesse prendere vita con fattezze congeniali a quella che si dice “realtà”. Non è la trama di un film di fantasia, è il CosplayIl Romacomics 2012 , come ogni anno, è stato segnato dalla presenza di costumi colorati e ricchi di dettagli che contornano lo scenario dei classici appassionati di fumettologia ; gruppi sempre più folti si uniscono alle manifestazioni nazionali dando vita al loro personaggio preferito, e sempre più spettatori sono attratti dalla vetrina dei cosplayers. Il fenomeno, che ormai sta prendendo piede tra le nuove generazioni diventando un’identità culturale, ha origini giapponesi ( dal termine Kosupure, “Kosplè” ) e ha come complice l’usanza e la veloce diffusione dei Giochi di Ruolo dal vivo. Cosplay, “ costume play” ovvero “recita in costume”, consiste nell’indossare un costume di un personaggio manga, ma anche anime, videogiochi , film, serie tv e J-rock, per interpretarne il modo di agire. Una vera gara ludica e non per chi si cimenta nel costume più amato, riconosciuto, fedele alle caratteristiche e, perché no, anche fotografato dalle centinaia di persone incuriosite e catturate da questi personaggi improvvisamente catapultati nel mondo della realtà e che sembrano appena usciti dagli stand di fumetti e videogiochi esposti alla fiera. Ma perché il cosplay? Nonostante agli occhi dei tanti possa nascondere un desiderio infantile e la ricerca di un’identità con cui empatizzare, conserva una sorta di mistero e nasconde tanti punti di vista diversi al suo interno: c’è chi lo considera un semplice passatempo, chi lo pratica ogni tanto e chi giorno e notte, chi lo vive come un fatto personale e serio. Fatto sta che chiamarla arte non è poi così azzardato; tralaltro la naturale propensione dei cosplayers è quella di realizzare da sé i costumi, per creare dettagli e personalità che ricalchino non sono il carattere da mettere in scena, ma anche le proprie connotazioni fisiche e spinte emotive personali, dal momento che converrebbe essere il più vicino possibile e predisposto in parte alla somiglianza con colui di cui si vestirà i panni ( a questo resistono quelle eccezioni di neofiti o persone troppo pigre per cogliere lo spirito del “gioco”). Dietro tutto ciò non c’è solo desiderio di apparire, ma anche passione, condivisione e voglia di creare una cerchia di affini, un gruppo distintivo dove ritrovarsi tra chi considera la fantasia degna quanto la realtà. A conclusione, non c’è da stupirsi che il cosplay abbia acquisito una grandissima notorietà mediatica e sia diventata anche, erroneamente, una moda. Se un tempo eravamo noi ad alienarci dalla realtà per vivere nella fantasia come i nostri amati personaggi, ora sono loro che vengono a cercarci per farci vivere la realtà come qualcosa di fantastico. Il Romacomics 2012 , come ogni anno, è stato segnato dalla presenza di costumi colorati e ricchi di dettagli che contornavano lo scenario dei classici appassionati di fumettologia ; gruppi sempre più folti si uniscono alle manifestazioni nazionali dando vita al loro personaggio preferito e sempre più spettatori sono attratti dalla vetrina dei cospalyers. Il fenomeno, che sta prendendo ormai piede tra le nuove generazioni e che è diventato un’identità culturale, ha origini giapponesi e suona con il termine KOSUPURE ( Kosplè) ed ha come complice l’usanza e la veloce diffusione dei Giochi di Ruolo dal vivo. Cosplay, “ costume play” ovvero “recita in costume”, consiste nell’indossare un costume di un personaggio manga, ma anche anime, videogiochi , film, serie tv e J-rock, e interpretarne il modo di agire. Una vera gara ludica e non per chi si cimenta nel costume più amato, riconosciuto, fedele alle caratteristiche e, perché no, anche fotografato dalle centinaia di persone incuriosite e catturate da questi personaggi improvvisamente catapultati nel mondo della realtà e che sembrano appena usciti dagli stand di fumetti e videogiochi esposti alla fiera. Ma perché il cosplay? Nonostante agli occhi dei tanti possa nascondere un desiderio infantile e la ricerca di un’identità con cui empatizzare, conserva una sorta di mistero e nasconde tanti punti di vista diversi al suo interno: c’è chi lo considera un semplice passatempo, chi lo pratica ogni tanto o chi giorno e notte, chi la vive come una cosa personale e seria. Fatto sta che chiamarla arte non è poi così azzardato, inoltre la naturale propensione di cosplayers è quella di fare da sé i costumi per creare dettagli e personalità congeniali non sono al carattere da mettere in scena, ma anche alle proprie connotazioni fisiche e spinte emotive personali dal momento che converrebbe essere il più vicino possibile e predisposto in parte alla somiglianza con colui di cui si vestirà i panni ( a questo esistono quelle eccezioni di neofiti o persone troppo pigre per cogliere lo spirito del “gioco”). Dietro tutto ciò non c’è solo voglia di apparire, ma passione, condivisione e voglia di creare una cerchia di affini, insomma una gruppo distintivo dove ritrovarsi tra chi considera la fantasia degna quanto la realtà. A conclusione non c’è da stupirsi se il cosplay abbia acquisito una grandissima notorietà mediatica e sia diventata anche, erroneamente, una moda. E se un tempo eravamo noi ad alienarci dalla realtà per vivere nella fantasia come i nostri amati personaggi, ora sono loro che vengono a cercarci per farci vivere la realtà come una fantasia.
Francesca Pellegrino


martedì 6 marzo 2012

Hipsteria: una tendenza indie-screta.







Li vediamo passeggiare per strada con disinvoltura, aria di superiorità intellettuale e un certo distacco per l’ambiente circostante, come se dovessero prendere le distanze stesse dal proprio periodo storico: sono gli hipster. Sicuramente il fatto di affibbiare loro un’etichetta non andrà giù a molti, ma di fatto, se un unico concetto è arrivato a racchiudere vari atteggiamenti e modi di essere/apparire c’è sempre un perché. Per alcuni i cosiddetti hipster sono solitamente dei giovani universitari altamente pretenziosi, influenzati da alcune correnti (ma soprattutto contro-correnti) culturali e musicali, riflesse automaticamente nello stile “personale”. Da sempre un binomio vincente, la moda e la musica sono tra le forme artistiche più contaminate, e il trend musicale impone naturalmente ritmo, simbolico e fisico, alle tendenze urbane, dando spunti, suggestioni, e talvolta un pizzico di follia e trasgressione: forse è questo l’arricchimento ambito dagli hipster? Ispirati all’ “indie rock”, da sempre considerato un genere musicale di nicchia, manifestano esattamente questo carattere di anticonformismo e indipendenza a qualsiasi livello, in modo un po’ “aristoide”, come per stravolgere i canoni estetici predominanti. 
Ed ecco che si punta a un abbigliamento che voglia apparire superficiale per se stesso, che dia l'idea di essere stato scelto senza pensarci troppo su: un’esasperazione che sfocia in un vero e proprio conformismo, che detta legge sulla musica da ascoltare e sugli indumenti da indossare. Non che ci sia nulla di male, ma d’altronde evitare un’etichetta, seppur varia, per il pregiudizio dell’etichetta in sé non è un po’ troppo mainstream? Sta di fatto che accanto all’identificazione musicale e al desiderio di “autarkèia”, si è sviluppata, soprattutto negli ultimi dieci anni, un’etica indie a forte impronta culturale che a tratti sfocia paradossalmente nello snobbismo più inquadrato. L’immaginario indie è costellato di film e pellicole indipendenti, nonché di adorazione per alcuni dei registi più conosciuti ( Tarantino, Godard, Truffaut, Allen, Nolan, Sofia Coppola, Antonioni ) e per la letteratura post-moderna, come le opere di Charles Bukowski, e francese, soprattutto gli esistenzialisti Camus e Sartre, nonché le poesie di Baudelaire e Rimbaud. Skinny pants e occhiali nerd, vintage o Wayfarer (un po’ commerciali, non trovate?), mentre per le scarpe, maschili o femminili, le regole sono due: suola ultrapiatta e stile minimal; per completare il look, perfetti i cardigan larghi e vissuti (alcuni sembrano appena usciti da un lavaggio sbagliato) camicie grunge di flanella, t-shirt anni ’70, barbetta incolta per gli uomini e capelli spettinati o quasi per le donne. Gli hipster, in sostanza, si battono contro il mainstream, contro tutto ciò che è tendenza, che è popolare e di successo (indipendentemente dal fatto che tale successo sia meritato o meno), sono la rivendicazione dell’ indie rock e del kitch modaiolo, attuando una ricerca dell'originalità degna di lode. Purtroppo gli occhialoni giganti e l'urban fashion sono ormai andati a costituire quella stessa moda contro cui dovrebbero andare: alla disperata ricerca di uno stile di vita indie, gli hipster sono purtroppo caduti nel nemico da loro più temuto, la catalogazione. Divenuti una delle tante espressioni della creatività giovanile, la moda e la società li hanno ormai ingabbiati in molteplici definizioni. Dunque il termine hipster è utilizzato si, ma in maniera contradditoria, rendendo difficile l'identificazione di una cultura precisa, perché essa è un mix di stili: la peculiarità degli hipster, infatti, è la volontà di essere “inclassificabili”. Figlio ideale della retromania e dell’adorazione di tutto ciò che è vintage, l’indie potrebbe essere considerato anche la figura emergente della rete di significazioni scaturite dall’iper-realtà, concetto caro al filofoso francese Jean Baudrillard: tra conoscenza del mondo informatico, arti figurative, design, passato tech (fotocamere lomografiche, videogames a 8bit, graphic novels), gli hipster hanno costruito un piccolo universo di ricordi, revisionismi e perpetuo citazionismo, un background culturale nel quale si muovono dinamicamente, rendendoli animali urbani e cosmopoliti, ma fagocitando la soggettività individuale.